L’attenzione continua e costante alla formazione del nostro cuore che le parabole del Regno ci hanno richiamato in modo reiterato, dovrebbero portarci ad essere scribi che tirano fuori dal tesoro del proprio cuore cose nuove e cose antiche. Cose che non interessa se abbiamo fatto sempre così. Cose che i piccoli comprendono. Cose che sono sapienza di Dio, sapienza di amore che sanno anche di croce. Cose che sanno di perla e perla vera. Cose che richiamano qual è il tesoro vero della nostra esistenza.
Nella figura dello scriba ci possiamo rispecchiare tutti. Nella figura dello scriba possiamo ritrovare una modalità di esistere e di essere, che è rivoluzionaria per la nostra quotidianità. Lo scriba è colui che cura la maturazione del proprio cuore. Lo scriba è colui che si lascia curare dall’amore misericordioso di Dio. In questa cura congiunta fra lui e Dio ritrova la via di una relazione più vera con i fratelli. Sapendo che la relazione più vera con i fratelli rilancia al Padre, per essere gente più matura.
Il tesoro del nostro campo che cosa è se non la riscoperta della paternità di Dio e quindi della fraternità? La perla preziosa, incastonata nel nostro intimo, altro non è che un’umanità nuova vissuta con a base la fraternità e la figliolanza.
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Ritornare a riscoprire il nostro essere figli per vivere in modo nuovo da fratelli. Lo scopo è potere essere pescati dagli angeli di Dio nelle reti del Regno per potere essere scelti per il regno definitivo, regno di giustizia e di pace, regno di fraternità.
Una delle cose nuove che possiamo estrarre dal tesoro del nostro cuore in continua evoluzione e maturazione, grazie alla continua cura nostra e di Dio, è il desiderio di capire sempre meno del nostro modo di agire come singoli e come comunità. Mi pare che siamo schiavi di capire questo mondo che è schiavo dell’apparenza. Volere comprendere l’apparenza ci porta in piane nebbiose dove non vediamo al di là del nostro naso. Volere comprendere la nebbia ci porta lontani dall’essenza della vita. La nebbia non può essere compresa, la nebbia può solo essere amata. Volere comprendere l’apparenza, cioè la nebbia, significa andare a sbattere contro un muro e divenire schiavi di quel muro. Forse è il tempo in cui dobbiamo liberarci dall’apparenza non volendo più comprenderla, come non possiamo comprendere la nebbia. Non volere più comprendere questo tempo di apparenza dove la perfezione ci schiavizza in nome dell’apparire, significa bucare la nebbia, entrarvi dentro e cominciare la ricerca dell’assente.
L’assente -fratello o Dio, uomo o donna, migrante o residente, gente che non appare sui telegiornali o gente che è nascosta in fondo alla foresta- non è l’inesistente. Bucare il muro dell’apparenza significa smettere di essere schiavi del fatto che esiste solo chi compare sui media: niente di più falso. Anche perché i media sono ciò che di più schiavo dell’apparenza esista al giorno d’oggi.
Non volere più capire l’oggi significa valorizzare l’assente che esiste. È il piccolo del regno che comprende la sapienza del Padre. L’assente che esiste è colui che non deve pagare tributo al dio dell’apparenza che chiede presenza per potere gestire e avere potere. L’assente che esiste non è la guerra che riempie i nostri schermi, ma tutti coloro che la guerra la vivono ogni giorno senza mai apparire. Vogliamo parlare dei morti di fame? Volgiamo parlare dei cristiani che vengono uccisi da maniaci religiosi di ogni genere in mezzo mondo? Cristiani che non fanno notizia in un occidente che teme la propria identità e non capisce più le proprie radici?
Mi interessa l’assente che è il migrante che non riesce a pagare l’affitto e viene sfrattato da una giustizia che manifesta che lui è ingiusto e schiavo della proprietà privata. Mi interessa la ragazza madre che è obbligata ad abortire perché sola e disperata. Mi interessa ciò che non si vede, mi interessa l’assente. Mi interessa chi non cerca di piacere e di trionfare, perché interessato solo a istruire e a comunicare i tesori che ha in cuore e che possono dare vita.
Mi interessa il finto, chi finge perché non esiste pur esistendo. Fingere significa, dal latino fingere, modellare, plasmare. Mi interessa chi non appare mai sui libri di storia eppure finge perché assente e fingendo è presente perché modella la vita. Modella il mangiare e l’ascoltare. Modella la storia degli uomini con la sua assenza. È assente alla ricerca di un amore perfetto che non esiste e non esisterà mai. È assente perché ama imperfettamente e per questo esiste. Esiste perché dalla crepa del nostro nebbioso perfezionismo apparente, scorge la luce e ritrova l’amore. Esiste perché mistico, mistico che rinuncia alla perfezione potente della dottrina perché Dio possa essere a questo mondo. Un Dio assente, ma non per questo inesistente. Assente all’apparenza ma presente all’amore che è chicco di frumento che caduto in terra muore e germoglia e porta frutto, come lui stesso non lo sa.
Non interessano gli OGM, ho già dei bei semi in natura e quelli mi piacciono anche se meno appariscenti. Siamo stanchi di quei semi di laboratorio che creano solo schiavitù. Schiavitù nei confronti di quelle aziende produttrici che regalano quei semi ai poveri della terra per renderli più schiavi. Da uno di quei semi non vi può essere rigenerazione di semi da ripiantare. I poveri perdono i loro semi auto-rigeneranti, da cui possono salvarne alcuni da ripiantare l’anno successivo, diventano schiavi di coloro che ogni anno vendono i semi da laboratorio senza i quali i loro campi diverranno terra bruciata. Figuriamoci se parliamo di Covid!
Voglio imparare a scoprire l’Assente/assente nel tesoro del mio cuore. Sono certo che così gli esclusi della nostra società, coloro che sono assenti e non compaiono da nessuna parte, non saranno più per me degli inesistenti, ma saranno i presenti finti che plasmano la vita al di fuori dalle nostre false certezze che ci rendono sempre più schiavi e sempre più sterili: incapaci di vita.
L’assente è colui che è altrove: questo mi interessa, perché questo sento come tesoro del mio cuore da cui potere tirare fuori cose nuove e cose antiche.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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