Non sprecate parole come i pagani, pregando, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Di fronte a questo brano evangelico possiamo chiederci cosa è mai la preghiera. Nei versetti precedenti Gesù aveva affermato che la preghiera non è stare ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Oggi ribadisce il fatto che preghiera non è blaterare e moltiplicare parole.
Ma cosa è questa preghiera di cui tanto sentiamo parlare e che troppo spesso sfugge alla nostra esperienza?
Pregare è “stare” alla Presenza. Pregare è vivere un rapporto d’amore. Un rapporto d’amore non usa l’altro per mostrarlo in pubblico e per dire: guardate chi sono stato capace di conquistare. Un amore non lo si può obbligare, non lo si può cercare per forza. Un amore è dato e nel momento in cui è dato va accolto.
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La preghiera è presenza: non va cercata per forza, non è obbligata, va accolta come presenza.
Il nostro atteggiamento migliore per potere accogliere il dono è quello dello stare. Due innamorati comunicano attraverso le parole, ma di per sé le parole sono superflue. Non sono le parole che danno sugo alla relazione: è la relazione che da sugo alle parole. Anche i gesti che si compiono di per sé sono superflui: ce ne accorgiamo quando cessa l’innamoramento e non si passa ad una scelta di amore: si parla ancora, si compiono gesti, parole e gesti vuoti.
Pregare è stare, è esserci con una presenza passiva di per sé, ma profondamente attiva. È stare alla presenza senza fare nulla. Questa presenza deve essere ricca di quello che noi siamo: non può cedere alla tentazione del fare. Pregare è scoprire la propria identità in profondità, lasciare emergere tutto quello che è la nostra persona per consegnarla e per lasciarla travolgere dalla Presenza dell’amore gratuito dell’Altro.
I gesti e le parole ci possono essere ma importante è che il nostro cuore sia lì perché solo essendoci con tutto il nostro essere, noi possiamo scoprire l’innamoramento del figlio verso il Padre che ci ama. Stando può sgorgare dal nostro cuore la preghiera al Padre.
Stando con questo atteggiamento passivo ma pieno allo stesso tempo, noi diveniamo disponibili a lasciarci travolgere dal vento dello Spirito santo che grida dentro di noi “Abbà, Padre”. Lasciarci travolgere da questo vento d’amore significa cogliere ancora più in profondità chi noi siamo, quello che il Padre vuole donarci e quello di cui noi siamo bisognosi. A quel punto possiamo chiedere perché avremo capito quello di cui abbiamo bisogno: lo chiederemo, lo riceveremo, lo accoglieremo.
Il rapporto con Dio non è un rapporto mercanteggiante, un rapporto di affetto a forza di parole. Quando un amore decresce, o si entra in un silenzio tombale oppure si inizia una guerra dove cerchiamo di averla vinta a forza di parole. Questo non è il meglio dell’amore e questo non può essere la base per un rapporto di preghiera.
Nemmeno le cose possono essere la via per instaurare un rapporto di preghiera. I festeggiamenti di s. Valentino sono ormai solo un’occasione per fare regali e per spendere soldi. Non che i regali non dicano niente, non che non abbiano un valore, ma fare un regalo solo perché quel giorno lo fanno tutti già lo svilisce. Può essere anche un piccolo oggettino: fonte di ricordi e di affetti.
Le cose, nel rapporto con Dio, hanno la stessa funzione: una candela se piena di affetto ha senso e ne ha più di cento ceri enormi accesi solo per farsi vedere. Un bicchiere d’acqua dato ad uno che ha sete ha più valore di mille ori donati per incoronare la statua della Madonna da portare in processione.
La preghiera è uno stare pieno di affetto e di disponibilità. Questo è l’essenziale. Con o senza parole, con o senza gesti, con o senza cose, l’importante è che vi sia il nostro cuore. Pregare è essere me stesso, finito e aperto all’Infinito. È un atto umano che può essere disumanizzato o falsificato e quindi giustamente rifiutato, anche se con sofferenza e nostalgia. Pregare è stare davanti a Dio, di cui sono immagine e somiglianza. Davanti a lui sono ciò che sono, lontano da lui non sono ciò che sono.
Per questo preghiamo: Abbà, Padre!
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