p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 27 Giugno 2021

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Gesù vede e sente! Vede la casa del capo della sinagoga, vede il trambusto, vede la gente che piange e urla forte.

Lui entra! Entra nella casa di Giairo e dice: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. La gente che piange e urla forte, lo deride. Una derisione che Gesù “cacciati tutti fuori”, prese con sé padre e madre ed entra dove c’è la bambina. Una derisione che può prendere anche noi quando siamo in difesa dalla vita.

Di fronte a questa, come a qualsiasi realtà che noi viviamo, Lui ci dice una Parola, una Parola che è invito ad avere fiducia. Questo invito diventa motivo di derisione da parte dei suoi contemporanei come da noi. È invito a Giairo come a noi ad essere persone che hanno fiducia, fiducia da alimentare. Fiduciosi, liberi dalla necessità di crederci degli dei assoluti. Fiducia che mi libera dalla necessità che spesso abbiamo di fare assoluto qualcosa che assoluto non è.

Gesù scaccia i ridicolizzanti e prende con sé alcuni. Tutto il frastuono, lo strepito, le urla, la paura sono azioni di disturbo al desiderio di vita, alla fiducia, all’amore. Caccia via tutte queste voci che abbiamo. Scaccia queste voci che ci dividono dalla vita, dall’amore, dalla fiducia. Rendendoci la vita impossibile. Di fronte a parole che tendono a separarci dal Signore e dagli altri, Gesù scaccia fuori.

Lui era entrato nella casa, ora entra dalla bambina. Gesù va fino in fondo. Entra “dov’è la bambina” perché c’è una solidarietà piena che non diventa motivo per stare fuori. Gesù non ama lo spettacolo, non dice “venite a vedere che miracolo faccio”. Non è interessato a questo, è interessato a riportare vita alla bimba oltre che alle persone che sono con Lui. Questo avviene perché attraverso questi “alcuni” ciascuno di noi possa entrare nella stanza dove si trova questa bambina.

“Prese la mano della bambina e le disse: Talità kum, che significa: Fanciulla, io ti dico: alzati”.

Lui prende la mano impadronendosi della mano. Gliela prende e le dona la sua. E poi il termine “ragazza”, vuol dire ragazza da marito. “Svegliati” come mi sveglierò io grazie alla risurrezione. Per la risurrezione si dice “risvegliati” e “levarsi”. Queste due parole ci dicono che c’è una sovrapposizione tra Gesù e questa ragazza. Qui Gesù tocca la bambina, perché tocca la morte. Anche Lui si sveglierà e risorgerà: Tu diventi ciò che tocchi! La morte l’ha toccata Lui per tutti noi. La donna impura ha toccato Lui rendendolo impuro. Qui Gesù tocca il cadavere contraendo legalmente l’impurità. Cosa che non facciamo più nemmeno noi abituati come siamo nell’oggi a fare sparire il cadavere, a metterlo lontano da noi.

Toccare la morte, vuol dire morire. Tocca anche a Lui. Lui è solidale con la nostra morte. Tutto il Vangelo ci introduce alla croce come via di vittoria sulla morte. Come questa bambina incontra Gesù, è l’estremo a cui siamo chiamati. Quelle cose che noi non sopportiamo di noi stessi e che tengono gli altri lontani, i nostri limiti, diventano la possibilità di comunione con Gesù.

La morte ti oscura dai viventi, ci mettiamo sopra un pietoso velo, ci separa, non puoi più toccare nessuno. Il morto non può toccare nessuno. Nessuno tocca il morto se non in quei momenti lì e poi lo separi, ci metti su una pietra e la vita continua, per la morte.

Gesù invece tocca, entra in comunione. Anche il limite estremo diventa luogo di comunione. La mano, poi, indica una espressione fortissima “impadronirsi”. La mano è il potere, si impadronisce della morte; diventa sua la morte. Quello è il gesto massimo d’amore. Lui chiama la ragazza prendendole la mano: destati, ti dico. Unisce gesto e parola, Gesù.

Lei aveva dodici anni. Una ragazza che arrivava a dodici anni e non incontrava l’amore era morta perché era l’età del fidanzamento e poi del matrimonio. Questa ragazza è l’immagine di ciascuno di noi. Siamo tutti malati di amore e di relazioni. Se non siamo amati la nostra è vita squallida che non vale la pena di vivere. Lei che è morta incontra chi la ama, per questo l’amore è più forte della morte. Questo è anche il senso della Croce di Gesù.

Questa ragazza rappresenta tutta l’umanità che è chiamata ad amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la vita, con tutte le forze, grazie a Lui che ci ama con tutto se stesso. Chi ama, cerchiamo di coglierlo, è più forte della morte. Così che il morire non è vivere, è amare: far risorgere l’amore! Chi non ama rimane nella morte. Questa è la vita a cui siamo chiamati.

Così si manifesta la possibilità, per noi come per questa ragazza, di rimetterci a camminare: le viene ridata la vita che è cammino senza fine.

Gesù ordina che le diano da mangiare. La casa di Giairo non diventa un santuario, non si organizza niente, anzi Gesù ordina di non dire niente a nessuno. Gesù non vuole identificarsi con i segni che compie. Ciò che avviene con questa bimba ci dice in cosa consiste questa salvezza. Salvezza che termina con l’ordine di mangiare. Cosa vuol dire mangiare? Mai visto un morto che mangia? Mangiare vuol dire vivere. Mangiare ciò che fa Gesù bel banchetto nel deserto dove prende il pane, benedice, spezza e dà. Il suo corpo è dato per noi! Sì, perché l’amore è la vita immortale che viviamo già in questa vita. Vita che nel suo stile amante vince la morte.

Il fatto compiuto è reale, è resurrezione, è segno che dice che la morte fisica non è la parola ultima. Se fosse così, Dio non sarebbe altro che un criminale. Grazie a Dio siamo finiti. Dio, che finito non è, si diverte a vivere con noi e come noi.

Ragazza svegliati perché c’è qualcosa che non muore più. Sei amata, puoi vivere una vita di amore. Camminare e mangiare in questa vita è la vita nuova a cui siamo chiamati ogni giorno.

Talità kum: è un atto di amore a cui siamo chiamati ogni giorno, in ogni situazione, in ogni realtà. È un dono di amore che ci viene rivolto: Talità kum!


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM