Ci vuole speranza per credere ad un granello di senape e alla vita che quel granello può donare. Ci vuole speranza e ci vuole una speranza paziente perché la vita possa nascere grazie ad un granello di Parola. Ci vuole una pazienza che guarda al futuro piena di speranza per potere accettare la dinamica del seme.
È un seme che viene gettato da un uomo nel suo giardino. In quel gettare ci può essere tutta una noncuranza e allo stesso tempo una voglia che qualcosa avvenga. Un seme viene gettato nel giardino. Del giardino, nel nuovo testamento, se ne parla, solo a riguardo del giardino dell’agonia nel vangelo di Giovanni. È il giardino dell’agonia ed è il giardino della sepoltura.
Con noncuranza l’uomo ha preso il seme della Parola, Gesù Cristo Dio incarnato, e l’ha gettato, l’ha gettato nel suo giardino. L’ha gettato con noncuranza inchiodandolo alla croce e l’ha gettato con cura seppellendolo con amorevole tenerezza.
Il seme di speranza è morto, il seme di speranza gettato sotto terra ha sprigionato tutta la sua capacità di vita. Nella morte ha manifestato tutta la sua forza vitale. L’energia di quel seme gettato sulla croce e messo sottoterra è stata l’inizio di una vita nuova per il mondo intero, per i secoli, per il creato, per ogni uomo e donna di ogni generazione.
Gesù Parola, seme di speranza, era il più piccolo di tutti i semi della terra. Un seme di senape, un piccolo granello, piccolo come una capocchia di spillo. Un seme dimenticato, un seme rifiutato, un seme gettato fuori dalle mura della città in un terreno, quello del Golgota, da tutti evitato e rifiutato.
Una forza tanto irresistibile quanto invisibile si è sprigionata e il Regno è venuto alla vita. Un gesto naturale che secondo natura dona vita. Il seme germina, secondo natura, morendo sotto terra e, morendo, sprigiona tutta la sua potenzialità di vita.
È la storia del seme, è la storia del Regno, è la storia di Gesù: il più piccolo fra tutti i semi. È la storia del discepolo che accetta di camminare dietro al maestro. Gesù preso e consegnato e gettato fuori dalle mura.
Il giardino è il giardino di Dio, è il creato fatto dal Creatore. Un giardino non sempre curato dall’uomo, anzi spesso un giardino bistrattato. In quel giardino di Dio il seme Dio è stato messo sotto terra da Dio perché il dono di Dio si esaltasse nel dono della vita, nel seme che morendo porta frutto e germogliando può giungere alla mietitura per divenire, dopo essere stato macinato, pane. È il dono della risurrezione che è vita e che nasce dalla morte.
Nel giardino, luogo dell’agonia, è il luogo dove la sposa incontra lo sposo proprio mentre piange lo sposo morto e scomparso: hanno portato via il suo corpo e non sappiamo dove l’hanno messo.
Da quando per il peccato l’uomo è stato esiliato dal giardino, il giardino si trova fuori dalla città dove Gesù, e con Lui i profeti, vengono uccisi perché rifiutati.
Ed è vero, quanto è vero: il seme cresce proprio perché muore. Questo è il suo mistero, questo è il mistero della vita: il seme produce la vita oltre la morte.
Mentre tutto il resto morendo imputridisce per sempre, il seme diventa pianta, fiore e frutto.
La morte non può vincerla su di Lui. L’avrebbe vinta se il seme rifiutasse la morte stessa e con la violenza difendesse la propria vita destinata a imputridire.
Invece la morte accolta a braccia aperte come luogo di dono, lo fa essere ciò che è: vita che vince la morte.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM