p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 26 Ottobre 2019

Lo sappiamo, ma lo neghiamo in modo persistente. Lo sappiamo ma non ne vogliamo avere a che fare. Lo sappiamo ma continuiamo a distogliere lo sguardo. Lo sappiamo che il male esiste, ma quanta parte della nostra vita noi passiamo a volerlo negare illudendoci di toglierlo di mezzo a noi. Il male va a braccetto con la nostra paura. È forse a causa di questa paura che noi vogliamo eliminare il male. Per eliminare il male noi identifichiamo il male con la colpa, meglio ancora con il colpevole. Eliminare il male che sembra essere la nostra guerra santa in questo mondo, necessita l’eliminazione del prossimo che noi identifichiamo col male, grazie alla dittatura della nostra paura.

Che nome dare alla nostra paura? Morte! La paura della morte è l’incarnazione di quello che noi sperimentiamo come male. Paura che vogliamo eliminare perché è male. Nella nostra esperienza normalmente il male è incarnato nel prossimo. Non ci rimane che eliminare il prossimo per potere eliminare il male. Se l’altro vuole difendere la sua ragazza da un’aggressione, lui è il male, per questo lo uccido perché io non sono il male. La paura della morte la scarico sull’uccisione del prossimo con l’illusione terribile di eliminare in tal modo il male. Ma la paura rimane e chiede altre morti; la morte continua a bussare alla nostra porta. Il male non è il colpevole che noi andiamo a cercare. Il male è Pilato che uccide non coloro che sono uccisi. Il male è la responsabilità nel costruire torri o ponti che, per risparmiare, uccidono tanti innocenti che non sono colpevoli perché muoiono per mano nostra.

Il male fa parte della nostra piccola storia quotidiana, che lo vogliamo o no! Il male fa parte della storia e della natura. Senza il male non ci sarebbe bene, senza morte non ci sarebbe vita e viceversa. Senza possibilità di scelta fra bene e male non ci sarebbe umanità ma solo animalità, senza libertà.

Per noi uomini sembra che l’unico problema che abbiamo sia quello di togliere il male. Cosa impossibile perché disumana e schiavizzante. Disumanizzante anche perché, oltre che far sparire dal mondo la libertà di scegliere il bene, noi vogliamo incolpare del male il prossimo. Abbiamo bisogno di colpevoli. Forse questa illusione è alla base di tante norme di sicurezza che abitano le nostre case e le nostre strutture, ma che per la gran parte non servono a nulla e ci rendono sempre più imbranati. Mi piange il cuore a pensare a quel bimbo di cinque anni morto perché caduto dalle scale a scuola: tutto a norma, eppure? Eppure avviene. Il peggio è quando avviene per mano dell’uomo e si trovano leggi di ogni genere per giustificare chi muore a causa del nostro male e della nostra malvagità. Eliminiamo per esempio gli immigrati: una marea di morti ma è a causa di altri. Noi non c’entriamo, semplicemente abbiamo tenuto chiusi i porti, ma la colpa è loro, la colpa è di altri. L’illusione di togliere questo male non fa che far crescere il male e la rabbia che questo male scatena e che prima o poi scoppierà.

Il male è dentro di me e si esprime nel chiedere sempre più diritti per me facendo diminuire i doveri. L’altro è nemico perché vuole gli stessi diritti miei senza avere doveri di sorta. La guerra è assicurata.

Noi siamo abituati a considerare male la morte, mentre invece male è il bene che desidero ma che non faccio, che non riesco a fare. La morte non è il male. La morte è diventata male perché via certa per eliminare il male da noi e in mezzo a noi. Questo male noi ci diamo da fare per rinviarlo sempre più. Allunghiamo in tal modo la vita ma svuotando la vita stessa di senso. Aggiungiamo giorni alla vita ma togliendo sempre più senso vitale ai nostri giorni.

Morire è bene che ci fa paura. Ma la mancanza di morte sarebbe una cosa orribile. Grazie a Dio si muore, siamo mortali. Ricordati che devi morire! È un fare memoria, riportare al cuore una verità di vita che noi vorremmo dimenticare e allontanare, rendendoci sempre più disumani. Risultato è infatti che pur di avere più giorni di vita noi togliamo giorni di vita al prossimo: mors tua vita mea, recitava un adagio latino. Dice il salmo 90 (versetto 12): “Insegnaci (o Signore) a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”.

Questa vita non è tempo per eliminare il male e per avere una gestazione infinita. Questa vita, se fosse infinita, sarebbe orribile. Ci obbligherebbe a non mettere più al mondo la vita; ci obbligherebbe ad un mondo vecchio abitato da vecchi che ci vanno bene solo perché un buon business per le case di cura o ricoveri che dir si voglia. Ogni gestazione che dona vita deve avere un termine, sia essa di nove mesi o di novant’anni, se così non fosse sarebbe una cosa terribile: un ventre di donna sempre occupato e sempre in crescita fino a scoppiare; il ventre della terra che non può più contenere nulla perché troppo pieno. Siamo in troppi perché ne nascono troppi o perché non moriamo più?

È il dominio definitivo del male che domina sulla terra e che si incarna nella nostra paura di morire. Non siamo infiniti. Vivere la nostra finitezza è vivere la vita. Combattere la nostra finitezza per paura di morire cercando di rendere la nostra povera esistenza infinita, è esaltazione della paura e dell’egoismo: è la morte della nostra umanità chiamata ad essere comunione.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13, 1-9
 
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
 
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Parola del Signore

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