p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 26 Giugno 2019 – Mt 7, 15-20

La vita passa dalla porta che è la via per scegliere, è la via per entrare ed uscire. Questo nostro scegliere quotidiano diventa l’albero della vita, l’albero del bene e del male, l’albero della nostra esistenza che porta frutti di bene o di male. Tali frutti non sono il problema della nostra esistenza, sono l’effetto delle nostre scelte. Ma non siamo condannati alle nostre scelte, le nostre scelte, che ci mostrano frutti buoni o cattivi, sono il terreno su cui giocare la nostra capacità di cogliere il bene e di perseguirlo. I frutti cattivi, sono cosa da vedere e da riconoscere per potere raddrizzare il tiro, per potere scegliere ciò che è bene, per potere lasciare il piacere apparente e ricercare il piacere buono, quello che segue il bene reale e non il bene apparente.

            Queste tre realtà, quella della via stretta, quella della porta e quella dell’albero buono, ci riportano oggi a guardarci in faccia: siamo falsi profeti o siamo profeti veri e buoni?

Ci sono i profeti di professione ma tutti siamo chiamati ad essere profeti. Profeti siamo tutti perché tutti ci giochiamo sulla via che porta alla porta stretta o larga e perché tutti siamo albero che dona frutti buoni o cattivi.

Essere falsi profeti non significa essere persone o profeti che dicono cose false: per fare questo non bisogna di certo essere profeti. Le profezie che ascoltiamo e che vediamo tutti i giorni, siano esse di origine religiosa come di origine politica ed economica, sono tutte false perché finalizzate ad imbonirci non per renderci buoni ma per renderci schiavi, per tenerci buoni.

Gesù parlandoci di falsi profeti ci parla di profeti che dicono cose vere ma non le fanno. Per questo non fanno frutto. Il vero pericolo non è tanto quello di dire cose sbagliate. Il Vangelo è chiaro e al di là di ogni sorta di esegeti il discorso sul monte è chiaro. Il problema è farlo il vangelo, viverlo non tanto come campo di perfezione quanto invece come campo della vita.

Il falso profeta, che non fa il vangelo, è il profeta falso perché usa il vangelo, è colui che si presenta in veste di pecora ma dentro è lupo rapace. È colui che dice di cercare il bene delle pecore, si presenta da pastore, ma fa solo il tosatore delle pecore e il mercenario che fugge quanto il lupo arriva magari dicendo che quelle sono faccende della giustizia umana che non c’entrano col vangelo.

Spiegare il vangelo, spiegarlo bene, ma non lasciarci toccare dallo stesso è essere falsi profeti e lupi rapaci. Sarebbe meglio stare zitti e non scrivere più sul vangelo. Ma la sfida non si gioca tra il lasciare di parlare del vangelo o il dire il vangelo, quanto invece tra il dire e il fare e essere vangelo. Non abbiamo timore di sbagliare: mettiamolo nel conto del cammino. Cammino che non chiede perfezione e non errore, quanto invece riconoscimento di ciò che bene non è per riprendere la via del bene vero, quello che ci fa bene e che ci piace veramente.

L’incoerenza tra il dire e il fare è cosa umana, è cosa di tutti non solo dei falsi profeti. Essere falso profeta è far sì che la nostra incoerenza diventi sistema di vita invece che luogo di conversione. Essere sicuri che la nostra dottrina sia dottrina sana, che la nostra appartenenza alla Chiesa Cattolica sia cosa buona e chi più ne ha più ne metta, significa essere sicuri che Dio è con noi! Ci dimentichiamo che il problema non è mai se Dio è con noi ma se noi siamo con Lui.

Essere veri profeti è ritornare ogni mattino a chiamare se stessi alla conversione, ogni mattina, prima che gli altri. Non è colui che dice cose vere o cose che vanno oltre i nostri orizzonti e che si avvereranno. Cose vere se ne possono dire infinite. Il problema è se quello che io dico di vero mi chiama veramente alla conversione. Il mio dire è invito a fare, a riprendere il cammino, a cogliere la realtà della porta stretta e a fare mio tutto questo? Ogni giorno e mai una volta per tutte!

Chiamare sé a questo, ascoltare Colui che mi chiama a questo, rende vero il mio essere messaggio che chiama i fratelli a questo. Divento canale di vita, vita vera, e non porta chiusa al Padre perché giocosamente giocante con gli idoli di cose vere da  lupi rapaci travestiti da pecora?

Il vivere la dissonanza fra il dentro, lupo rapace, e il fuori, pecora come cosa normale, è la nostra maledizione di vita. Vivere questa dissonanza fra il dentro e il fuori come cosa normale diviene sempre più ipocrisia religiosa usata per giustificare il bene apparente che mettiamo in gioco ogni giorno per non metterci in gioco nella dinamica di amore del Padre Nostro.

Anche se dico le cose giuste ma non mi lascio avvolgere dall’abbraccio di amore del Padre, sono falso profeta. Fino a che le mie parole sono la fonte della mia vita e non la Parola di amore di Dio, io rimarrò sempre e solo un falso profeta.

Ritorniamo a sentire il disagio causato dalla puzza del nostro agire non buono e lasciamoci condurre dal profumo che promana dal Cuore di Cristo che ci invita ad annusare la via, a sentire il profumo di casa, a cogliere i frutti buoni che il Padre ha creato e che lo Spirito ci dona grazie all’albero della vita. Sarà un piacere vivere, non perché tutto andrà bene ma perché il bene sarà da noi continuamente ricercato.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

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Dai loro frutti li riconoscerete.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7, 15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».

Parola del Signore.

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