Che cosa è essenziale e centrale per la mia vita? Il salvaguardare la mia vita oppure giocarla nella vita di ogni giorno? Chiederci per scorgere cosa già da ora muove la nostra attenzione. I fallimenti nella nostra esistenza possono essere tanti o pochi, di un genere anziché di un altro. Ciò che importa non sono tanto le realtà positive e negative, pur avendo un loro perché e una loro influenza, ma come io mi pongo in questa nostra realtà di vita.
Possiamo incontrare luoghi dove il gioco di potere è fondamentale e luoghi dove invece non lo è. Possiamo incontrare realtà che non ci avversano semplicemente perché siamo indifferenti per loro oppure realtà che non ci avversano per benevolenza. Vi sono situazioni di violenza e situazioni di semplice accettazione, di buon vicinato. Oppure situazioni in cui siamo attaccati direttamente oppure no.
Ciò che fa la differenza è quale atteggiamento assumiamo in noi stessi verso questa realtà. È una realtà dove anche noi entriamo nel gioco di potere o è una realtà dove riconosciamo la nostra chiamata ad essere lievito che fa lievitare quella pasta che diversamente non sarà mai pane? Ci giochiamo come agnelli in mezzo ai lupi, oppure scegliamo di essere lupi perché in qualche modo crediamo di più al gioco del mondo che alla chiamata ad essere sale della terra?
Accettiamo di essere associati al mistero della croce, a vivere da agnelli in mezzo ai lupi, perché discepoli dell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo?
Riusciamo a cogliere, in qualsiasi realtà ci ritroviamo a vivere, la bellezza e la grandezza del giocarci come obolo della vedova che ha dato tutto quello che aveva per vivere; come dono sulla croce non tanto perché soffriamo quanto perché cogliamo l’essenzialità del giocarci a pieno nella nostra sequela, che è vita e testimonianza con tutto quello che siamo? Ci stiamo al gioco della sapienza di Dio che ci invita alla danza della totalità, oppure tale danza è rallentata e spenta dalla nostra paura di giocare noi stessi? Giochiamo ancora a volere salvare la nostra vita oppure nel perderla noi comprendiamo che la salviamo perché non la nascondiamo ma la giochiamo nella danza della vita che o è totale oppure rischia di non essere?
Noi, come chiesa, siamo continuamente preoccupati dei preti che calano e del fatto che le parrocchie rimangono scoperte. Questo è un dato di fatto che non dovrebbe preoccuparci, dovrebbe invece essere stimolo a mettere al centro della nostra esistenza non la messa domenicale ma la messa vitale, vale a dire il dono totale di noi stessi. Ciò che conta è la capacità di vedere e di riconoscere la grande piccolezza del dono totale di noi, anche se non fa rumore, anche se non si vede. Cogliere, vedere e vivere questo fatto è dono di realtà che pone centralità non a ciò che si vede, ad essere ai primi posti nei banchetti, ai saluti nelle piazze, ma a vivere il dono di sé che dona vita e diventa vita per noi e i fratelli.
Ciò che fa la differenza non sono i successi pastorali, ma la vita vissuta fino in fondo come dono, il mistero della croce che diventa realtà esistenziale, non cosa della domenica. Ciò che fa la differenza è la perseveranza con cui viviamo il dono, vale a dire la pazienza che ci libera dalla smania dei risultati e ci porta nell’alveo della fiducia, dove la pazienza non è un subire le cose quanto invece un metterci con forza a vivere quel dono che unico salva e che unicamente salva.
Allora la nostra bocca esprimerà la sapienza irresistibile che solo occhi attenti e orecchi che vanno al di là dell’apparenza, potranno vedere e udire. È questa la sapienza che vince il male e che manifesta tutta la potenza della croce dove Gesù Seme di Parola viene messo sotto terra, dove scatenerà tutta la forza della vita nella risurrezione.
Non preoccupiamoci di guerre e morti: è il solito vecchio mondo che pensa di risolvere i problemi con la stoltezza del potere. È il solito vecchio mondo che pensa di ritemprarsi nella morte e che donando morte pensa di dare vita. Niente di nuovo sotto il sole. Ciò che è nuovo e porta novità in questo mare di morte e di sofferenza è la testimonianza del discepolo che non abbandona la dinamica sapiente dei due spiccioli gettati nel tesoro del tempio: solo questo ha valore, solo questo dona vita. Allora potremo cogliere che le persecuzioni in un modo o nell’altro espresse, non bloccano il Regno ma lo compiono e lo diffondono.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM