Il Vangelo di Giovanni ci pone di fronte ad un grande gesto che Gesù compie per la folla: incontra il nostro bisogno reale, la nostra vera fame ed evidenzia una possibilità. Noi chiameremmo miracolo quello che Lui vede e soprattutto fa, Lui lo chiama: cosa potremmo fare? dove potremmo comprare il pane, “perché costoro abbiano da mangiare?”.
Cogliere il bisogno, viverlo come dono e occasione, coglierlo come luogo da vivere è la vera dinamica che Gesù ci dona.
In fondo questo è il vero miracolo che non crea dipendenza della gente da Gesù. Come succederà dopo questo fatto raccontato da Giovanni, che la gente andrà a prenderlo per farlo re, così, dopo che ha donato loro del pane, Gesù si ritira di nuovo sul monte “da solo”.
La vera dinamica non sono i pani che si moltiplicano quanto invece la vita che si svela. È bello cogliere la dinamica vitale in Gesù che cammina sfiorando le vite inferme, rimettendo in cammino chi incontra, risvegliando le paralisi alla vita. In fondo l’attenzione di Gesù a chi ha fame è un’attenzione che ci porta a riscoprire la bellezza dell’innamorarci della vita.
Quando il male viene percepito è bello sentire la chiamata a cambiare, non perché quanto fatto sia cattivo, ma semplicemente perché la vita chiede di crescere, di abbandonare quanto ci ha fatto crescere fino a quel momento, per cogliere quanto ora ci fa crescere nella dinamica di crisi che si presenta a noi ad ogni piè sospinto.
Accettare di sentire la fame è accettare di sentire che c’è una nuova chiamata ogni momento. Sentire la fame seguendo chi cammina davanti a noi, chiede che noi accogliamo tutto questo come momento e movimento di vita. Tutto chiaro? No! Tutto vero e tutto invitante ad incontrare vita nella sua verità.
Gesù si ritira in silenzio di fronte al suo successo, semplicemente perché la chiamata è ad incontrare la fame dell’altro e a dargli da mangiare, non certo per avere riscontri sociali e risonanze di successo.
Infatti Dio è Padre che ci sta vicino! Il vero miracolo è il silenzio leggero del vento, sono le parole di amicizia. Cogliere la nostra paura, lasciare che venga alla luce, lasciare che la luce della vicinanza di Gesù le parli, è la vera chiamata che riceviamo in quanto figli del Padre.
Dio non è Colui del quale avere paura: Lui vuole parlare con noi. Lui sorride seduto sul monte con noi, non è interessato ad ottenere un riscontro di successo e di paura. Noi abbiamo sempre paura nei nostri pensieri, nei nostri errori, nel nostro corpo, nel nostro istinto: ma tu continui a portarci sul monte in silenzio con te.
Noi siamo chiamati a vivere una dinamica dove i nostri occhi guardano e scoprono la fame nostra e altrui, come Gesù continua a fare con noi. Noi siamo chiamati a prenderci cura delle fami profonde che ci abitano. Così i nostri occhi non evidenzieranno tanto ciò che non va, quanto invece ciò che può fare felice l’altro che abbiamo vicino. Non siamo chiamati a colpevolizzarlo perché ha fame quanto invece a condividere con lui la sua fame: “hai fame?”; “cosa posso fare per te?”.
Filippo evidenzia come noi non abbiamo i mezzi per sfamare l’umano. Fame che è da sempre nostra compagna. Filippo si lascia prendere ed evidenzia per noi la bellezza del cogliere il bisogno di amore. Il giorno che non sentiremo più questo desiderio è un giorno che ci dice che abbiamo smesso di interrogarlo, non che lo abbiamo riempito.
Andrea vede che un ragazzino ha qualcosa, poco, ma concreto, reale ed è disposto a donarlo agli altri. La spontaneità di quel ragazzino stimola a venir fuori, ciò che gli altri hanno nascosto per paura. Tra i discepoli c’è Andrea che accoglie la sfida di Gesù: intuisce che c’è una soluzione diversa dal comprare e anche se ne constata l’impotenza, si mostra disponibile alla condivisione e esegue l’invito di Gesù: fateli sedere!
I discepoli stimolati, smettono di svalutare e di prendere in giro. Così la folla non fugge, ma siede. Fragili si siedono in quel silenzio non per avere tutto, ma per potersi ancora amare nel bisogno fragile che siamo.
Uomini e donne che non vivono l’affanno come luogo di vita, che per questo non rincorrono nulla, non vivono più per avere tutto, ma semplicemente si siedono nel silenzio del loro essere: non per avere di più quanto semplicemente per essere.
Gesù prende il pane, non importa quante persone sono. In fondo non fa altro che prendere la vita così come viene, senza rincorrere le proprie pretese. Nasce il grazie perché si ritorna a vedere luce dentro alle cose, il Tutto dentro le briciole del nostro quotidiano.
Il bello è Gesù che dona gratuitamente, costruisce una relazione e poi se ne va, non attende indietro nulla. I pani donati ci richiamano il fatto che l’amore sazia la vita. La fame di vita non è soffocata ma è semplicemente saziata nella sua quotidianità. La vita si muove, si sazia e si affama, vive di luce e di ombra, è nel giorno e nella notte, è respiro di sistole e diastole.
Di tutto questo che “nulla vada perduto”, perché i pezzi raccolti dell’amore sono indispensabili per la nostra quotidianità. Dodici ceste, come dodici erano i discepoli, perché noi siamo ceste su cui qualcuno si china con affetto per raccoglierci e accoglierci. Ogni cosa che noi facciamo oggi come ieri, è un frammento di umanità che continuamente ci parla del Tutto. Così la nostra vita affamata viene raccolta e accolta con amore dall’Amore.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM