Guardiamoci allo specchio della Parola e vediamo il nostro volto dipinto sul volto dei discepoli. Ascoltiamo l’eco di queste parole che giungono da lontano e cogliamone tutta la saggezza e la profondità. Guardiamo in faccia alla realtà che non sono i nostri difetti o le difficoltà che noi poniamo alla efficacia e alla fertilità della Parola. Noi siamo la Parola che ascoltiamo, non i nostri limiti e le nostre chiusure di fronte ad essa.
Udiamo dunque la parabola del seminatore e guardiamo il seminatore che esce a seminare. Udiamo e guardiamo è un imperativo e dunque un comandamento. Un comando che trascende i dieci comandamenti stessi a cui siamo così legati sia nel bene come nel male. Udire e vedere è il comandamento della nuova legge, della Buona Notizia. Sediamoci, guardiamo in faccia il Signore che ci parla, ascoltiamo quanto ci dice con cuore aperto e pronto.
Questa parabola del seminatore è Cristo del quale ne vediamo la vicenda di Lui Parola, della sua Parola. È l’avventura sorprendente del Figlio dell’uomo nel cuore della terra dove la Parola viene seminata e sepolta. È l’avventura di Gesù Parola nel cuore di ogni uomo. L’accoglienza della Parola ci apre ad un vedere nuovo; l’accoglienza della Parola apre il nostro orecchio ad udire le vicende di questo mondo con un orecchio rinnovato e capace di lasciarsi fecondare dal seme stesso della Parola.
Sappiamo bene che siamo impermeabili, conosciamo bene le nostre impermeabilità che si manifestano nell’ovvietà con cui ci avviciniamo alle vicende della vita, compresa quella del seme della Parola caduto in noi.
Noi siamo la Parola seminata in noi e in quanto Parola seminata, noi siamo chiamati a metterci in rapporto coi nostri limiti e le nostre chiusure. L’apertura del terreno è un dono del contadino che passa ad ararlo prima di seminarlo. Questa apertura di occhi e di cuore è conseguenza di un dono: quello dell’aratura. Se aperti e spaccati diveniamo capaci di evidenziare i nostri limiti, le nostre chiusure che non siamo noi, come tanti vorrebbero. Le maldicenze che tanto ci piacciono servono proprio a questo: a identificare il prossimo, e noi stessi, coi propri limiti. La maldicenza ci distoglie dal volto di Dio e dal fatto che noi siamo fatti a sua immagine e somiglianza. Non ne possiamo né sappiamo fare a meno: è una dinamica difensiva che chiude i nostri orecchi e acceca i nostri occhi rendendoci incapaci di accogliere la Parola in terreno buono. Preferiamo difenderci dalla stessa piuttosto che, accogliendone il dono, vedere con gli occhi di Dio e ascoltare con il cuore del Padre.
Le nostre inautenticità che seminiamo sulla via della nostra vita; le paure di cui disseminiamo il nostro rapportarci con la vita; l’egoismo che utilizziamo per vivere ma che in realtà soffoca la vita in noi e la nostra capacità di amore, sono tre barriere che nascondono il nostro volto e la nostra identità, ci rendono morti e non ci permettono di vivere, ci rendono incapaci di ascolto e di ben vedere non lasciandoci percorrere la via della sapienza della croce.
Ascoltare la Parola con fede, custodirla nella speranza lasciandola crescere in noi, farla fruttificare grazie all’amore è il dono a cui siamo chiamati, è la volontà del Padre su di noi.
Sono tre doni che aprono e ravvivano il nostro cuore a volte pietrificato, altre soffocato, altre ancora lastricato di sassi, facendolo terra bella e feconda oggi, non domani. Terra che si manifesta col volto del sepolcro ma che in realtà è accoglienza del seme nella terra buona dove porta frutti di risurrezione.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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