Non riusciamo a fare a meno delle cose: le cose sembra siano la soluzione dei nostri problemi. Se non abbiamo qualcosa da dare sembra che non abbiamo nulla da dare. Un regalo per noi è una cosa da dare. Siamo talmente pieni di cose date e ricevute, di cose acquistate, che non riusciamo più a muoverci. Diciamo di esistere se abbiamo, se non abbiamo non esistiamo.
Questo modo di vivere è modo proprio anche di noi chiesa. Se non offriamo dei servizi cosa facciamo, per che cosa ci facciamo conoscere? Siamo così poveri di fede che sembra che la fede esista se abbiamo l’oratorio pieno, la casa di accoglienza richiesta. Ma noi? Noi dove siamo?
Siamo così vuoti di Parola che non abbiamo più nulla da dire a questo nostro mondo, così bisognoso di Parola vera, Parola di vita!
Subiamo una valanga di parole ogni giorno parole talmente vuote che sono continue promesse di cose da dare e da ricevere. Parole che sono lamentela perché abbiamo di meno e riceviamo di meno. Parole che non seminano nulla perché vuote di generatività.
Le cose e le parole sembrano essere le uniche ricchezze della nostra esistenza, ormai così misera che non ha nulla da dire a questo mondo. Se queste sono le premesse possiamo cogliere da subito quanto siamo stati infedeli nel vivere il nostro servizio e la nostra chiamata alla missione. Sembra che il tutto passasse attraverso una spiritualità senza fede, una spiritualità idolatrica delle cose che si andavano a portare, non della vita che si andava a vivere.
La chiamata alla povertà come identità della missione, non è cosa da poco né tantomeno banale. La chiamata alla povertà è un dono di liberazione concesso a noi da Colui che da ricco che era si è fatto povero, venendo ad abitare in mezzo a noi. Il non avere nulla da dare è apertura a ricevere il dono di quello che siamo al di là di ogni bravura e capacità. Io sono non quello che dono come cose, io sono perché ci sono!
La povertà del nostro essere è l’unica vera via alla testimonianza. Il non essere cercati per le cose che puoi dare, è una grazia di libertà che difficilmente noi riusciamo a scorgere e a vivere.
Senza tale povertà, mi viene da dire, non è possibile l’amore. I regali che ci facciamo per quanto belli e pieni di significato tante volte a cosa servono se non a comprarci reciprocamente?
Non c’è qualcosa di più grande? È ora che ci svegliamo ed è ora che ci crediamo. È tempo che apriamo le nostre mani vuote per ricevere il dono dell’amore di Dio che unico può svuotarci dei nostri idoli. È inutile: se hai cose dai cose. Solo quando non hai nulla hai la possibilità di dare te stesso, cioè di amare.
Solo nella libertà dalle cose vi è possibilità di gratuità, principio di ogni grazia e bellezza. È vero che tanti nostri fratelli hanno bisogno di tante cose, ma ho l’impressione che il bisogno dell’altro sia tante volte una maschera con cui mascherare la nostra miseria che è incapacità a vivere in povertà donando quello che siamo. Usiamo il bisogno dell’altro, vero o presunto che sia, per nascondere il vuoto che tante volte siamo. Così quello che doniamo è idolo a cui sacrificare la nostra fede, la nostra identità, la nostra relazione. Se non accettiamo la nostra povertà noi diveniamo miseri e diamo miseria, donando cose magari anche ricche.
Così l’idolo della cooperazione diventa strumento di schiavitù ancora più accentuata per tanti popoli della terra. Li rendiamo dipendenti dalle nostre cose anziché liberarli dalle nostre schiavitù.
Il nostro cosiddetto progresso è basato sul prendere. Camminare con Gesù, invece, significa non prendere nulla per portare solo noi stessi a coloro che incontriamo sul nostro cammino.
Solo questo nulla, che è amore, è necessario come bastone di sostegno del nostro cammino; come tesoro della nostra bisaccia; come pane del nostro nutrirci non di solo pane ma di ogni parola che esce dalla bocca del Figlio di Dio; come vestito che anziché servire per vivere chiede servizio alla nostra esistenza velando la bellezza delle nostre nudità di senza nulla, di poveri, di gente con una identità di fede vera.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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