L’immagine che noi abbiamo di Dio è segno dell’immagine che noi abbiamo dell’uomo. Per noi tra l’uomo e gli animali c’è ben poco differenza, anzi preferiamo loro all’uomo stesso, alla persona. Gli animali sono affettuosi e ci chiedono ben poco e non ci mollano, senza di noi morirebbero di fame al giorno d’oggi, l’uomo, soprattutto bambino, no. Per ricordarci di lui abbiamo bisogno anche dell’allarme seggiolino perché il rischio di dimenticarci il bimbo in macchina è sempre più alto, segno della nostra umanità del progresso che è sempre più disumana e disumanizzante.
Per noi l’uomo è tale solo se ha potere; per noi, figli di sadducei, la moglie è cosa da prendere, per dovere, non per amore. Oppure è cosa da non prendere se non per piacere, finchè dura, non per amore. L’immagine di questi sette fratelli che prendono questa donna forse non è così lontana dalla nostra esperienza di oggi, dove la donna o è presa oppure è carne da macello, oggetto di violenza e di morte. Così il nostro potere è dominio che dà morte ai vivi, quando il Padre ci mostra il suo essere servizio di Madre incarnata nel Figlio che dona vita ai morti.
Noi, sadducei dell’oggi, oligarchia del mondo sviluppato, ricchi e materialisti, ironizziamo sulla vita che troviamo solo nelle cose e nel possesso delle stesse oltre che degli animali. Possesso che pretendiamo anche nei confronti degli umani che sono meno rispetto agli animali perchè meno docili ad essere posseduti e dunque meno affettuosi, vale a dire meno obbedienti.
Noi siamo figli del Padre che ci genera in quanto Madre, noi che partecipiamo pienamente della sua vita. Il nostro è un Dio dei vivi non dei morti. Dio non è un boia che uccide i propri figli per divertimento, è un Padre che dona vita, cosa che noi sembra non sappiamo più fare. Noi, ci dice san Giovanni, siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli.
Quale relazione abbiamo noi con questo Dio che non ammette vita e risurrezione? L’immagine che noi abbiamo di questo Dio dice la qualità di rapporto che noi abbiamo con la vita. Con lei, possiamo dirci, quale rapporto abbiamo con la morte? Queste immagini che abbiamo in noi non sono secondarie, sono significative perché le evidenziamo nelle nostre scelte mortifere di ogni giorno. Scelte che subiamo e che non riusciamo a rendere vere, per questo danno morte.
Gesù ci mostra che se uno non perde la sua vita, non la può salvare, non la può vivere in pienezza. Se la pienezza della vita è l’amore, l’amore non può che essere dono che si fa anche sofferenza pur di amare. Neghiamo il dono fino a dare la vita per l’altro e la nostra vita sarà azzoppata, sarà mortifera, sarà dedicata all’infelicità, dovremo consolarci con un abbraccio animale.
Se noi vogliamo tenere la nostra vita noi la perdiamo. Noi uomini non siamo chiamati ad obbedire alla nostra specie, noi non siamo di nessuna specie e di nessuna razza: specie e razza sono realtà apparenti e ingannevoli che giustificano razzismo e uccisione di chi noi pensiamo non essere come noi. Sono la giustificazione della nostra natura di Caino. Se di specie vogliamo parlare possiamo solo dire che noi siamo della specie di Dio, siamo a sua immagine, siamo uomini e donne che si completano nell’essere come Lui. Noi siamo a sua immagine e somiglianza in quanto maschio e femmina. Nella relazione fra i due noi siamo immagine di Dio perché amore, fedeltà, alleanza, gioia, fecondità. Così noi a immagine e somiglianza di Dio, perpetuiamo la vita nell’amore su questa terra, nell’oggi che ci è dato. Vita che non può mai essere figlia del prendere ma solo del donare e donarsi. Paolo invita i maschi del suo tempo, nella cultura maschilista di cui lui faceva parte, ad amare le proprie mogli come Cristo. Cristo ci ha amati morendo in croce, donando la sua vita per noi: più bello di così si muore, è il caso di dirlo.
La logica del prendere e dell’avere, termini che usano i sadducei, è la logica dell’egoismo, del non sapere amare. È la logica della morte non quella di Dio che è il Dio della vita. La logica vitale di Dio è logica del dare, è logica dell’amore. Accogliamo ciò che anche la liturgia ha colto dove nel matrimonio non si dice più prendo te come marito e come moglie, ma accolto te come mia sposa e come mio sposo. È la logica del dare intimamente diversa rispetto a quella dell’avere e del prendere. Non siamo chiamati ad essere Cesare che toglie la vita a chi vuole, ma ad essere Dio che dona la sua vita per ognuno di noi.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 20, 27-40
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Parola del Signore