p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 23 Luglio 2023

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Oggi è tempo di pazienza. La pazienza è forza nei confronti di se stessi, è capacità di astenersi dall’intervenire dominando l’istinto che porterebbe immediatamente a “far pulizia”: ma questo non è l’agire di Dio.

L’invito è a “lasciare”: “Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme”. Si tratta di un non-fare, di un non-agire, di un non-intervenire che in realtà richiede una grande forza per agire su di sé vincendo l’istinto a sradicare ed estirpare.

La potenza creatrice della parola di Dio si manifesta come pazienza, come accoglienza anche del negativo, non come intolleranza, come negazione del negativo, chiusura alle tensioni e all’incertezza del futuro.

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È lottare contro la tentazione dell’impazienza di anticipare il giudizio già nell’oggi. L’impazienza consiste nel presumere di sapere già oggi chi è il cattivo e chi il buono, qual è il grano e quale la zizzania (piante che si assomigliano molto), e nel pretendere di eliminare questa per lasciare solo quello.

Siamo in fondo chiamati a far crescere, non a “cernere”. Giungono a maturazione in questi giorni d’estate i frutti della campagna: orti, campi e boschi offrono i loro prodotti spontanei o coltivati in un tripudio di colori e di sapori. E ai contadini, agli ortolani o ai dilettanti cercatori di funghi e di bacche si impone, per così dire, il compito della «cernita» dei prodotti della terra. Occorre, cioè, «cernire», come si dice in un italiano arcaico che significa dividere, scegliere, separare, vagliare.

Noi viviamo in un mondo tutto teso a selezionare, a «cernire»; ci domina una grossolanità che predilige i vincenti, i forti, i belli, gli arrivati, ed elimina i perdenti, i deboli, i poco appariscenti, coloro che arrancano nella vita a causa delle scarse risorse a disposizione.

Abbiamo bisogno di un antagonismo «amico-nemico» con l’intento di schiacciare l’avversario in maniera definitiva; si evoca il valore di una presunta purezza dottrinale o morale per eliminare chi indugia al dialogo e al confronto o si permette di coltivare il dubbio di fronte a tante certezze esibite; si ribadisce il primato di una tradizione, di una razza, per schiacciare ogni forma di meticciato. Quanti concorsi (al di là delle gambe delle miss…) per selezionare in maniera disumana! È a partire da questa situazione che si può cogliere tutta la grandezza del Vangelo di questa domenica, noto come il brano del buon grano e della zizzania. Ai contadini-servi che vogliono estirpare subito l’erba cattiva dal campo seminato con pura semente, il padrone del campo oppone un severo rifiuto: «No, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano»: l’intento di Dio è quello di far crescere, non di selezionare!

È questo il cuore del Vangelo, dell’annuncio di Gesù di Nazareth; in esso c’è una profonda sapienza, che trasborda in comprensione, in accoglienza, in attesa paziente. Si potrebbe dire che il Vangelo sa che «a livello personale non c’è amore che non contenga odio, non c’è tenerezza che escluda interamente violenza, non c’è generosità che non esprima interesse personale, non esiste affermazione che sia interamente vera, né atto libero non coatto. A livello sociale non c’è impegno di giustizia che non contenga ingiustizia; non c’è realizzazione sociale che risponda a tutte le esigenze; non c’è progetto industriale che non contenga limiti.

Questo significa che nessuna situazione della vita può essere ritenuta assoluta. Esso sa che il passato è insufficiente per interpretare e anticipare il futuro: l’uomo di oggi coglie ogni struttura come provvisoria dove la rassegnazione passiva non è cosa giustificabile.

Noi credenti possiamo ritenere che il bene, la verità, la vita esistano già nella loro forma. Sappiamo che Dio nella creazione compie un’azione sempre creata, finita, perfino ambigua: la sua volontà non si esprime mai compiutamente, perché i capi velano la presenza di Dio.

«Far crescere» invece che «selezionare»: è questo che la Chiesa oggi dovrebbe imparare dal Vangelo; ascoltare attentamente, discernere da dentro le situazioni, le brecce ad una speranza nuova, cooperare con Dio e con le donne e gli uomini di oggi per purificare e trasformare quanto vi è di buono, di bello in questo mondo.

Il cammino cristiano non parte dalla perfezione ma in modo graduale si avvicina sempre più al Signore, in un cammino comunque mai veramente compiuto.

«L’atteggiamento del padrone è quello della speranza fondata sulla certezza che il male non ha né la prima né l’ultima parola. Ed è grazie a questa paziente speranza di Dio che la stessa zizzania, cioè il cuore cattivo con tanti peccati, alla fine può diventare buon grano. Ma attenzione: la pazienza evangelica non è indifferenza al male; non si può fare confusione tra bene e male! Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio» (Papa Francesco).

Ma non vi è solo la zizzania che sta intorno a noi e che spesso vediamo più facilmente, vi è anche quella nel nostro cuore. Vediamo qualche germoglio di bene, ma spesso il male sembra prendere il sopravvento nella nostra vita. Spesso ci scoraggiamo, pensiamo di non essere in grado di cambiare su certi aspetti, a volte si diventa così pessimisti da giungere anche alla disperazione.

Ma «la parabola ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dallo stilare il solito lungo elenco di ombre e di fragilità, che poi è sempre lo stesso. La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio ha seminato in noi”.
Coraggio dunque, camminiamo, non perdiamo mai la speranza perché la speranza non delude mai!

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