Dopo avere stigmatizzato il potere e avere invitato i discepoli a ricercare il servizio più che il potere, a ricercare di primeggiare nell’essere servi più che nell’essere riconosciuti grandi, oggi il Signore evidenzia l’altro grande pericolo a cui il discepolo va incontro: quello dell’invidia e della gelosia.
A forza di sentirci dire che dobbiamo essere bravi e che dobbiamo rispettare coloro che la sanno più lunga di noi e che dobbiamo obbedire, è entrato in noi un verme che mangia i nostri cuori e rovina le nostre relazioni. Il verme è questo: se dobbiamo fare i bravi allora chi di noi è più bravo? E se sono bravo chi di noi ha più diritto ad affermare di esserlo?
La gelosia e l’invidia non sono cosa solo dei piccoli verso i grandi, ma anche dei grandi e dei ricchi verso i piccoli. È questa gelosia che porta i grandi a non averne mai abbastanza e a volere defraudare i piccoli anche del poco che hanno.
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La gelosia e l’invidia è ruggine che mangia e consuma dall’interno anche i rapporti più belli, anche il rapporto più bello con Dio.
La gelosia e l’invidia dei discepoli nei confronti di chi fa il bene, di fatto rischia di interrompere il flusso di vita fra Dio e i discepoli stessi. Gesù è mio per cui tu non puoi fare il bene nel suo nome. Se lo fai è perché vuoi approfittarne della situazione. Questa la posizione arrugginita dei discepoli.
“Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me”, questa è la posizione di Gesù: non impedite a nessuno di fare il bene e di farlo nel mio amore. Ogni luce di amore degli uomini discende dall’alto ed è emanazione dell’Amore unico che è Dio.
Invidia e gelosia ci impediscono di vedere e valorizzare il bene che c’è nell’altro e che l’altro fa. Invidia e gelosia ottundono il nostro cuore e ci rendono incapaci di vedere liberamente quanto avviene di bello e di buono intorno a noi.
Chi fa del bene nel “nome” di qualcuno, nella mentalità semitica, si lega a quella persona. Se quella persona si lega a Dio non a chiacchiere ma con gesti di amore, chi siamo noi per giudicare che quella persona non debba e non faccia o non viva l’amore verso i fratelli?
Lo sguardo di Dio è molto più lungimirante del nostro. Ed è il suo sguardo a dovere essere assunto come metro di misura dei nostri giudizi e delle nostre scelte. Non la cortezza miope del nostro sguardo, ma la lungimiranza dell’amore di Dio, deve diventare metro per la nostra esistenza.
Diversamente siamo sempre alle solite: agiamo per non perdere i nostri privilegi, anzi vorremmo magari accrescerli, anziché agire per amore e per servizio.
L’arroganza con cui trattiamo molte volte gli altri, altro non è che l’essere figlia di invidia e gelosia, ed è strumento per mettere in chiaro chi comanda e chi, di conseguenza, ha ragione quando si parla.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM