p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 23 Agosto 2020

“Ma voi, chi dite che io sia?”.

Lui, Io-Sono, chiede con umiltà ai discepoli: Chi sono io? Io che so chi sono, chiedo ai discepoli di entrare in gioco con la mia identità perché anche la mia identità possa scaturire nella verità.

Non è in crisi l’identità di Gesù, è in gioco la nostra identità. L’essere riconosciuto di Gesù, come di ogni amore umano, è il desiderio fondamentale che alimenta l’amore e che trova la sua identità nell’amore. La nostra identità è questione di fede che si incarna nella nostra naturezza. Gesù si è incarnato perché questa è la via in cui poterci giocare in verità. Essere gente di fede significa essere gente vera nella propria identità, vale a dire vera nella propria natura.

La risposta a questa domanda – chi sono io?-, che sia una domanda di Gesù come per ogni risposta umana, costituisce e costruisce ognuno di noi. La risposta che noi diamo -scegliamo poi noi la modalità di dare risposta- costituisce la nostra vita, la nostra esistenza, chi noi siamo. È l’incarnazione delle fede che ben si presenta come la nostra naturalità, ciò che noi siamo in verità.

Questo è il cristianesimo, questa è la vera umanità: il mio rapporto con Gesù e con l’altro è essere! Non è una morale o una ideologia o una teoria o una filosofia o una rilettura. La nostra identità è il mio Signore, Lui è mia vita, che mi porta ad amare come Lui mi ama.

Non si tratta di compiere bene delle chiacchiere. Non si tratta neppure di dare una risposta giusta. La mia risposta non deve essere come quella dell’altro. Ciò che vale non è ciò che è normale e compreso, non è né la carne né il sangue, è ciò che il Padre dona del Figlio al figlio.

La conoscenza anche del Messia come di qualunque fratello, è cosa che può essere fatta solo a chi lo/mi ama. Il dialogo tra Gesù e i discepoli non può che essere di amore, altrimenti è semplice chiacchiera e teoria ben organizzata.

Accogliere questa rivelazione umana è divenire beati e ascoltare la voce dello Spirito che grida nel mondo: beato te, Simone, perchè il Padre mio ti ha rivelato! È una rivelazione da accogliere e da tacere, semplicemente da amare non da pubblicizzare: “Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”. È essere ciò che siamo, non dimostrare di essere qualcuno.

Il centro di tutto ciò è la fede e la carità che, male usati – vissuti cioè per pubblicità e per essere validi -, diventano motivo di scandalo, di divisione e di odio. Anche Gesù, spesso, Lui vero uomo e vero Dio, è stato occasione di eresie e di divisione dalla vita e dalla fede.

Gesù di fronte ai nostri lieviti che sanno più di farisei e di sadducei, dice che siamo gente di poca fede più attenta a dire che non abbiamo pani. Dimentichi del dono dei pani diveniamo più attivati dal lievito dei farisei e dei sadducei. Gesù non ha detto di guardarsi “dal lievito dei pani ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei” (Mt 16, 12).

Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei: non accorgersi di questo nostro lievito ci porta a lamentarci di non avere pane. Questa è cosa falsa, finalizzata a dire che non c’è pane quando in realtà ci possiamo accorgere di avere poca fede.

Noi siamo preoccupati di dire che il pane non c’è, che non è sufficiente, convinti che il non possedere è la via di non vita, mentre in realtà la dinamica del bisogno di possedere è la negazione della chiamata ad essere nella gioia. Pensiamo in tal modo di evidenziare chi siamo, mentre in realtà, al di là delle apparenze, noi diveniamo sempre più ciò che non siamo.

Noi siamo pane perché umani e proprio perché umani nell’essere pane dato e condiviso noi siamo gente di fede. Gente che crede nel Padre che si incarna nel Figlio e che ama grazie allo Spirito. Gente chiamata ad essere vera cioè figlia dello stesso Padre amante. Gente che comprende la bellezza del pane donato e condiviso, quando questo pane siamo noi cioè Cristo.

Non ci interessa essere osservanti della legge per bene apparire; non ci interessa essere ricchi proprietari causanti fame nei fratelli; non ci interessa essere possessori di Dio; non ci interessa essere distruttori del Vangelo grazie alle nostre belle apparenze. Non ci interessa essere meritevoli quanto invece gioiosi perché il tutto è dono del Padre.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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