Dio sobbalza di gioia oggi, perché ci partorisce di nuovo alla vita. Ogni uomo è ripartorito e rigenerato dall’alto grazie al dono dello Spirito, donato e accolto.
Il generare è forse una delle cose più belle che possano esistere. Vedere nascere dopo avere portato in noi un bimbo, accompagnarlo, vederlo crescere, cogliere quella parolina in più che ogni giorno sente e ripete, vederne i primi passi, godere del suo sorriso e occuparci dei suoi piccoli acciacchi, è una bellezza di cui continuamente noi umani ci priviamo. È una bellezza che spesso ci fa paura e ci terrorizza. È una bellezza che vediamo piena di dolore e di fatiche. È una bellezza che sentiamo angariante le nostre libertà. È una bellezza di cui ci priviamo. Una bellezza, tra l’altro, naturale. Noi che cerchiamo il naturale nel cibo e in ogni dove, rinunciamo ad un naturale che ha del prodigioso, che ci cambia la vita.
Dio non rinuncia a partorirci per questo gioisce di noi. La fatica e il dolore del parto sono parte della nostra naturalità. Non vanno cercati ma non vanno neppure temuti. Soprattutto non possiamo permettere che la paura del dolore domini sulla nostra esistenza e sulle nostre scelte. Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici, per i propri figli. Più bello di questo eppure tanto temuto tanto da rinunciare anche all’amicizia, pur di non avere noie e sofferenze.
Nella sofferenza non cercata ma accolta e scelta c’è il segreto della gioia. Qualsiasi cosa noi vogliamo mettere al mondo chiede non solo impegno, quanto passione, passione che è anche patimento, passione che è spinta, passione che è Spirito Santo che in noi grida Abbà come ricerca del nostro genitore.
La nostra vita umana e cristiana incontra questi momenti di fecondità continuamente. Sono momenti di fecondità, anche se spesso è fecondità non facile. È l’esperienza del chicco di frumento che muore per portare frutto. È invito alla contemplazione di quando quel chicco sboccia alla vita, coscienti che sotto vi è morte marcescenza, via per donare vita. Ai piedi della croce questo si realizza.
Il centro di tale esperienza ci è dato dalla donna, dal nostro femminile. Maria è chiamata donna da Gesù all’inizio del vangelo, alle nozze di Cana, ed è chiamata donna al termine del vangelo, sotto la croce: più “parto” di questo! Donna è chiamata la Samaritana con tutti i suoi inghippi sentimentali vissuti. Donna è l’adultera e la Maddalena che dovrebbe essere lapidata ma che Gesù riporta alla vita e che è amata perché ha tanto amato. Donna è simbolo del popolo di Dio, chiamato a divenire sposa dello Sposo divino per partorire vita ogni giorno su questa terra. Anche lei, sposa e popolo di Dio, sa che verrà il momento del parto, della morte e risurrezione, della partenza dello Sposo, della tristezza per la sua dipartita e della gioia perché è venuto al mondo un uomo e perché a noi è dato lo Spirito Santo.
Tale tribolazione non conduce alla morte, è principio di doglie. L’umanità, il creato stesso, è gestante, geme ogni giorno le doglie del parto in attesa della rivelazione definitiva quotidiana. Riconoscere il vero volto e il vero significato di questo volto sofferente è speranza di vita, porta che apre al parto. Siamo turbati per la prova, intimoriti di fronte a ciò che ci sta davanti. Ma sappiamo che questo non è la fine di tutto, questo è il fine. Il fine che è donare vita e vivere la fatica delle doglie del parto, come un’esperienza che apre al futuro. Dove c’è vita c’è futuro. L’anziano dona sapienza, il nascituro dona speranza e gioia.
Noi discepoli lasciamoci partorire oggi per divenire a nostra volta discepoli suoi, pronti a partorire alla vita. Percorriamo la stessa via del Maestro. Si tratta di una nascita che produce in noi gioia. Non abbisogna di ricercare cose che ci danno allegrezza, è vita che esplode in un grido di gioia, il grido del nascituro. Questa è la caratteristica del nostro Dio di amore: partorirci con doglie ogni giorno per sobbalzare di gioia di fronte alla vita che nasce e rinasce.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
FONTE: Scuola Apostolica
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