p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 22 Giugno 2022

915

Il modo con cui trattiamo la nostra vita e le nostre scelte, troppo spesso sono foglie larghe condite con parole altisonanti e con propositi che nascondono una verità profonda che non sempre è così chiara.

Sono parole che ci parlano di noi stessi e che parlano di noi agli altri. Sono parole dolci che si manifestano come pecore, che sono vestite da pecore, ma che in realtà dentro sono lupi rapaci.

Esteriormente le sentiamo amiche, ma appena entriamo in noi ci accorgiamo che qualche cosa che non va, si muove. Sentiamo dei disagi a cui non possiamo dare risposta, fino a che non abbandoniamo la maschera dell’ipocrisia con noi stessi. Fino a che non evidenziamo il fatto che non ci siamo realmente amici ma che, invece, semplicemente ci manifestiamo come amici senza esserlo, noi non riusciremo a fare chiarezza.

- Pubblicità -

L’abitudine di fermarci alla veste da pecora senza guardare mai la sostanza che, spesso, è sostanza di lupo, è abitudine ingannatoria e fomentatrice di infelicità e di inganno.

Questa modalità ingannatoria è innanzitutto atteggiamento che coinvolge noi stessi nei confronti con noi stessi, prima che coinvolgere il prossimo. Mettere al centro di questa relazione il prossimo anziché noi, è atteggiamento ingannatorio che fomenta tratti di paranoie e di sospetti, oltre che fomentare il nostro ritenere l’altro nemico e fautore di cose ingannevoli nei nostri confronti. Tutte cose che possono essere vere, ma che non servono alla mia vita se prima non compio il primo passo: quello di guardare in me e cogliere il lupo sotto la veste di agnello.

Bisogna essere coraggiosi per essere vigilanti e per imparare ad esserlo passando in mezzo ai nostri fallimenti e inganni. Ma solo così può nascere un’amicizia vera nei confronti di noi stessi, amicizia che diventa poi, e solo poi, amicizia nei confronti del prossimo. Troppo spesso ciò che si vede sono delle belle foglie e non ci accorgiamo che sotto la soglia di sorveglianza vi sono delle spine.

Anche in buona fede ci diciamo delle cose che sembrano belle e buone ma che si manifestano, a lungo andare, spinose e velenose, perché ingannevoli.

Rimane importante, allora, imparare giorno dopo giorno a cogliere ciò che si contrappone nel nostro cuore, nel nostro intimo, e che ha bisogno di essere amato e chiarito, affrontato e portato alla luce: in fondo chiamato con il suo vero nome.

Lasciarsi toccare ogni giorno dalle parole del Libro, della Bibbia, significa, se ben compreso, lasciarsi toccare dalla Parola di verità che può instradarci sulla via della vita e della salvezza. Non si può trattare la nostra interiorità con superficialità, è cosa quotidiana e seria. La superficialità più grande con la quale ci troviamo a combattere è quella del confrontarci con la Parola quando ci capita, saltuariamente, quando ce la sentiamo, quando siamo nella predisposizione giusta, quando le cose vanno bene. Ma il confronto del nostro cuore con la Parola è cosa seria che ci chiede un impegno serio. Come tutti gli impegni seri sono quotidiani sono atteggiamenti che coinvolgono e confrontano ogni momento del nostro quotidiano, così è la nostra sfida con la parola. Nasce fiducia e verità se continuamente lasciamo che le varie sfaccettature del nostro cuore entrino in rapporto con le varie sfaccettature della Parola. Laddove c’è sempre stata chiusura, ci potremo accorgere che, invece, oggi c’è apertura. Questa diventa una pietra miliare nella conoscenza di noi stessi.

La distinzione fra ciò che è bene e ciò che è male, fra ciò che ci fa bene e ciò che ci fa male, fra ciò che è buono dentro e male dentro, non può cedere alla tentazione della superficialità. Cedere alla tentazione della superficialità significa mettere la nostra vita in mano a falsi profeti e a lasciarsi ispirare da profeti di sventura, che siamo noi.

Non possiamo continuare a mistificare la realtà del nostro cuore chiamando bene ciò che è male e male ciò che è bene. Questo è ingannevole per noi, prima, e per il nostro prossimo poi. Credo che accettare questa sfida sia accettare un disagio interiore che non sempre è facile da portare. La tentazione è quella di facilitare le cose lasciando perdere. Accettare la sfida del disagio è opera liberatoria e veritiera, se vissuta al di là della pelle di pecora, al di là della bella foglia, al di là del bel vestito delle apparenze con cui condiamo quotidianamente le nostre opere che mascherano continuamente il nostro cuore.

AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM