La polemica sul sabato evidenzia chi è Dio per noi. Per i farisei è la legge, per gli erodiani è il potere, entrambe vanno a braccetto nel volere infrangere la legge uccidendo Gesù andando contro la legge e cercando di salvaguardare il loro potere e il loro posto di puristi nella società. Come i nostri preti, vescovi, cardinali e fedeli che vogliono far fuori Papa Francesco: hanno ragione, la Buona Notizia che lui incarna e che riporta al centro della nostra attenzione cristiana, è cosa che ci toglie punti nel potere sociale e nei numeri di chi partecipa alla messa: meglio farlo fuori appena esce dalla sinagoga, dal Vaticano, da san Pietro. Noi cristiani non possiamo che gioire di questo perché non c’è nulla di meglio di questa ribellione di farisei e erodiani cristiani che possa dimostrare la purezza cristiana di Papa Francesco. Speriamo, e per questo gridiamo a Dio, che il nostro Papa Francesco ce la faccia a dare quanto il Padre gli ha chiesto fino alla fine per il bene del Regno di Dio.
Purificare l’idea che noi abbiamo di Dio non è cosa di poco conto, perché noi siamo a immagine e somiglianza di Dio Creatore. Se Dio Creatore abbiamo bisogno che sia un Dio di potere per giustificare i nostri tratti perversi di volere essere gente di potere, noi abbiamo bisogno di farlo diventare un idolo per potere essere liberi di essere idolatri, schiavi delle cose.
Abbiamo bisogno di ricostruire una pace interiore per potere accogliere la Parola che viene a noi. Farisei e erodiani usano la loro mancanza di pace dovuta al timore di perdere terreno di potere per chiudere il cuore all’ascolto della Parola e negare che si possa fare del bene in giorno di sabato. L’idolo della legge e del potere ha la meglio sul bene di quell’uomo dalla mano paralizzata. Sono effetti collaterali che noi continuamente giustifichiamo come la cosa più naturale, fino a che tocca agli altri e non a noi. Non ci accorgiamo che gli altri siamo noi, qualsiasi volto abbiano, qualsiasi cosa facciano, qualsiasi cosa abbiano fatto. Non riusciamo più ad essere accoglienti, noi cristiani prima degli altri, e preferiamo giocarci a giudicare piuttosto che giocare la nostra vita per il bene della Vita stessa.
Allora è meglio essere idolatri perché noi viviamo la cosiddetta “laicità” che oramai è solo una scusa per potere fare del male a chi non ha potere, a chi non ha potere di acquisto. Questo spirito cosiddetto “post-religioso” e cosiddetto “adulto” è una porta spalancata sul “feticismo” delle merci che sono la nostra nuova religione, religione di massa del nostro tempo. Un culto con milioni di totem e tabù! Contenti che sia scomparsa la comunità umana possiamo costruire ognuno di noi un idolo personalizzato: che bello, è mio e solo mio! Idolo con la faccia del prodotto che noi consumatori maggiormente preferiamo; bello per il singolo consumatore, unico e sommo sacerdote in un “tempio” vuoto di persone e strapieno di oggetti.
Ogni cultura idolatrica è cultura di solo consumo non interessata all’umanizzazione del mondo e del creato. L’importante è che noi non siamo mai sazi di merci e che approfittiamo dei saldi. Il solo consumo non può che essere cultura di idoli a immagine dei quali noi dobbiamo diventare perché a immagine di Dio noi siamo stati creati e se il nostro idolo è il nostro dio, non ci rimane che ridurci a merce. L’importante è non essere mai sazi di merci così che il mercato tiri. L’importante è smetterla di cercare gioia e senso, bisogna essere totalmente per altro. Si lavora sempre e solo da schiavi, per produrre mattoni che ci permettano di innalzare piramidi al dio-faraone, che è lo squalo del mercato.
Non conta la nostra mano o il nostro cuore inariditi, non conta l’impoverimento della nostra mente, non conta nulla di tutto ciò che c’è, ciò che conta è che miliardi di persone siano a servizio del mercato globalizzato che, per sua natura, non può che portare alla distruzione dell’uomo prima e del creato poi. L’illusione che l’allungamento della vita sia cosa buona e bella, è una chimera che si schiaccia sul nostro naso non permettendoci più di vedere l’uomo dalla mano inaridita come un uomo.
La domanda di Gesù è semplice e chiara: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma noi, come i farisei e gli erodiani, non sembriamo più in grado di rispondere. Cominciamo a fare i sofisti di dove è questo bene e questo male, di dove è questa vita e di chi è questa vita e che coloro questa vita ha e di quale nazionalità e se ha le carte in regola … parapà parapà parapà, pur di non cedere alla tentazione della verità che alberga in noi.
Tendi la mano! Cogliere la bellezza che il sabato, e quindi ogni legge e realtà umana, è per l’uomo e non viceversa, significa che Dio è tutto per l’uomo. All’idolo non dobbiamo nulla. L’idolo, quello sì, va solo ucciso, distrutto! Dio ci offre il suo Pane, la sua Vita, se stesso! Gesù è il campo di grano che mangiamo e che è bello mangiare proprio in giorno di sabato, mentre passeggiamo per la campagna.
Mangiare di Lui significa accettare di vivere di Lui, non per Lui, del suo amore. Per questo apre la nostra mano inaridita, perché lo possiamo accogliere e donarlo, ritornando a raccogliere le spighe di grano maturo che ci nutrono in modo bello e sano.
Pensiamoci bene: cosa vuol dire che la domenica è fatta per l’uomo e non l’uomo per la domenica? Andare in chiesa? Andare nelle chiese moderne che sono i centri commerciali? Cambia il tempio, ma non cambia la musica. Al Padre interessa solo di potere essere bene per noi, tutto il resto o è secondario o non è, va distrutto come idolo feticcio che sa solo di morte.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
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E’ lecito in giorno di sabato salvare una vita o rovinarla?