Sappiamo che per gli ebrei i cani erano i pagani. Il richiamo di Gesù, al di là delle espressioni che un po’ possono ferire le nostre orecchie, è un richiamo alla gradualità.
La fretta che spesso avvince il nostro cuore per fare capire le cose all’altro è la fretta che noi abbiamo di una risposta positiva dell’altro, è sempre una cosa contro producente. Quando si genera, si genera coi tempi maturanti della natura.
Un detto bergamasco dice che “la gata fresusa la ga facc i mici orb” (la gatta che ha fretta genera dei gattini ciechi).
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La gradualità nel donare quanto siamo, chiede che noi sappiamo chi siamo e cosa siamo. Chiede che siamo coscienti di quanto abbiamo e di quanto crediamo. Il generare è un generare col cuore prima ancora che con il resto del corpo. Un cuore libero di vivere il generare alla vita con la pazienza dovuta. Pazienza che non è tanto un sapere aspettare e un obbedire al diktat che “nella vita ci vuole pazienza”, un diktat che ha sempre un sottofondo negativo. La pazienza è capacità di investire e di operare secondo i tempi di Dio, secondo i tempi della natura, secondo i tempi che ognuno di noi ha per maturare: sono i tempi della vita.
Senza questo la fretta dei risultati avvincerà il nostro cuore e ci renderà impazienti nei confronti del nostro prossimo.
Per la comunità cristiana le perle sono il pane e la parola, e non si può continuare a trattare queste due perle con sufficienza e superficialità. Guardiamo alle nostre strutture parrocchiali dove bisogna dare la parola e il pane a chi non sa che farsene. Guardiamo i sacramenti che si basano sulla parola e sul pane: dopo che sono stati dati, vengono calpestati e rifiutati da chi li ha ricevuti – infatti non li frequentano più, il più delle volte – e gli stessi si rivoltano contro chi li ha donati. Unica consolazione che rimane è che però noi la possibilità l’abbiamo data.
Guardiamo come viene vissuta la cresima, l’eucaristia, il matrimonio. Pensiamo di renderli importanti attraverso i nostri catechismi e i nostri corsi prematrimoniali: niente di più vuoto e inutile. La gente calpesta queste perle e si rivolta contro chi le ha donate loro. Ma le abbiamo veramente donate o abbiamo solo fatto un’azione di marketing scaricando la nostra coscienza?
La proposta della verità, della parola e del pane, deve essere graduale: puntare la luce negli occhi non fa vedere, anzi acceca.
L’amore non giudica e non manca di discernimento. Dire che tu hai bisogno di confessarti e senza confessione non puoi andare alla comunione serve solo a fomentare miriadi di confessioni vuote e inutili, dove non c’è incontro con Dio e dove la gente viene a raccontarti due cosette per dirti che si è almeno impegnata un po’. Altro che verità: mettiamo al centro della nostra fede compiacenza e falsità, e questo siamo noi a provocarlo e a crearlo, non certo la gente che accetta di ricevere una perla che non può ricevere.
La carità è discreta: deve discernere le situazioni, le azioni e le relazioni per comprendere ciò che è bene per il fratello qui ed ora!
Buttare addosso la verità e le perle all’altro, senza fare nulla per creare condizioni di accoglienza, è una vera bestemmia verso le perle sacre e verso il fratello. Lo mettiamo nella condizione di rifiutare, in questo modo, ma non perché cattivo ma perché non è pronto dentro. L’altro, come poi io, è pronto solo nel momento in cui si sente amato ed è amato.
Buttare addosso la verità senza preparare il terreno ad accoglierla, porta al plagio di chi l’accoglie e all’indurimento di chi non l’accoglie.
Agire in tal modo significa non rispettare né la verità – le perle, appunto, della parola e del pane – né l’altro. Obblighiamo l’altro al rifiuto in tal modo. Il rifiuto sembra essere l’azione più umana e vera che l’altro mette in atto, se non vuole essere falso.
In tale ambito gli spot, gli slogan, la propaganda, i mezzi sottili di persuasione sono sempre nocivi alla fede e all’adesione alla vita vera.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM