p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 21 Giugno 2019 – Mt 6, 24-34

Lasciare che la luce entri in noi e ci cambi lo sguardo, cambi il nostro modo di vedere, è accogliere l’invito del Signore che ci chiede di scegliere a chi dedicare la propria vita, per chi spenderla: per un Padre o per un padrone.

Il padrone per cui noi buttiamo via la nostra vita può essere la nostra mania di perfezionismo, di crederci perfetti e di vivere per divenire perfetti. Il padrone del fariseismo prende possesso sempre più della nostra esistenza. Tale perfezionismo chiede di immolare la nostra vita all’idolo, quell’idolo che si nasconde sempre più e sempre meglio in noi e in coloro che ci stanno accanto, nelle vicende di ogni giorno. L’idolo che vorrei tentare di focalizzare oggi, si chiama l’idolo del male che non c’è. Sembra che molta parte della nostra esistenza sia finalizzata a questo: negare il male in noi e nella nostra vita. Questo idolo uccide le nostre relazioni, ci obbliga a illuderci di una bontà che non abbiamo e che non siamo. Questo idolo ci spinge a cercare ciò che è irreale prima –io non ho il male- e a falsificare le carte poi- io sono a posto così, non ho nulla da cambiare. Il tutto giunge a volgere il nostro sguardo su quello che non c’è accontentandoci poi di dirci: ma io sono fatto così, non ci posso fare nulla. L’immolazione alla ricchezza, che sia di cose o che sia di falso realismo dove io sono bene sempre e comunque, è cosa fatta e finita. La nostra vita perde di senso e passiamo la nostra esistenza non a vivere per il regno di Dio, ma per trovare il colpevole di quanto avviene fuori di noi preoccupandoci di farci belli con vestiti sempre nuovi e di avere cura del nostro corpo divenendo schizofrenici dove l’unità della persona è perduta, ci focalizziamo su una identità corporale che è infantile o al limite adolescenziale, nulla più.

                 Cercare il regno di Dio e la sua giustizia, che è misericordia impossibile, significa cominciare a ritornare ad un realismo che ci umanizza rendendoci belli come i gigli del campo. Tale umanizzazione è libertà di dirci ogni mattina e ogni sera: il male è in me, il male sono io. Vedere il male mio non è necessità di negare il bene che sono io, ma vedere l’uno e l’altro in me. Noi di solito o neghiamo l’uno ed esaltiamo l’altro o viceversa. Avere uno sguardo buono e illuminato, significa vedere il bene che c’è e insieme il male che c’è in me. Fare questo non con un atteggiamento superficiale o onnicomprensivo, ma cominciando a cogliere un aspetto di bene e un aspetto di male. Coglierlo tenendolo d’occhio. Troppo spesso il male è qualcosa che ci prende la mano o che ci sfugge di mano. Focalizzare la nostra attenzione su di un punto, senza la pretesa di cambiarlo, ma rendendolo sempre più chiaro al nostro sguardo, al nostro vedere, al nostro approcciarci alla vita, significa essere attenti al cibo di ogni giorno, come dono del Padre.

Cogliere un aspetto del nostro male senza volerlo cambiare ma cercando di capirlo, ci libera poco alla volta dalla mania di perfezionismo che ci porta a negare la realtà di quello che siamo. Ci aiuta inoltre a non cadere in quel pessimismo dove tutto ciò che sono e faccio è male.

Cogliere un aspetto, conoscerlo sempre più e sempre meglio, non volerlo cambiare ma volerlo invece integrare, ci permette, giorno dopo giorno, di comprendere se è bene o se è male nella concretezza della vita, ci permette di creare spazi di libertà in noi dove il bello della vita prende piede. Quel male che non abbiamo combattuto ma che abbiamo iniziato a comprendere acquista un volto sempre più chiaro e ci permette, giorno dopo giorno, di coglierlo nella sua bellezza e bruttezza. Così il desiderio del bello e di bene può crescere in noi e la necessità compulsiva di male, quell’idolo di perfezionismo che tanto invade le nostre esistenze, decresce. Più diventa cosciente e meno incosciente, o inconscio, e più noi siamo liberi di non rispondere male alla vita ma di scegliere il bello e il buono che sono in noi come desiderio di vita, non come un dovere, un altro idolo, a cui immolare la nostra esistenza.

Troveremo dei cibi inaspettati e ce ne nutriremo. Ci verranno in dono vestiti tanto belli che non abbiamo cercato ma che ci saranno semplicemente donati. Perderemo poco alla volta quel brutto abito, sempre più impresentabile e sempre meno adatto, del doverci presentare bene e del doverci dare da fare per avere tesori sempre più grandi ed importanti. Brutto abito che abbruttisce il mondo e lo distrugge ogni giorno sempre più.

Così il nostro cuore incontrerà il luogo del nostro tesoro che non può essere un perfezionismo becero e illusorio, ma la bellezza della verità di quanto siamo, una bellezza che ci renderà sempre più capaci e disponibili ad incontrare il Generatore per eccellenza: il Padre nostro che ci rigenera ogni giorno non con perfezionismi illusori e inesistenti, quanto invece con la misericordia che è amore accogliente sempre e comunque. Amore che non dipende dai meriti, questa è roba da meretricio, ma dal semplice fatto che siamo figli amati.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

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