Credo che questo vangelo, oltre che essere un richiamo alla vanità delle ricchezze, sia una provocazione perché ognuno di noi mediti sul come gestisce la propria vita e la propria fede.
Non possiamo donare nulla se non abbiamo nulla; non possiamo rinunciare se non abbiamo qualcosa a cui rinunciare.
Per la tela del vangelo era necessario che lui vivesse in integrità i comandamenti, per potere giungere alla domanda che ha posto a Gesù: che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?
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Senza la sua vita di fedeltà ai comandamenti non ci sarebbe stata neppure questa domanda. Una domanda che scaturisce da un modo preciso di intendere la propria fede: una fedeltà attuata grazie ad una forte forza di volontà. Si era conquistato lui quello che aveva. Così le sue ricchezze, facevano parte di questo patrimonio che era lui, erano un tutt’uno con la sua integrità morale. Le ricchezze erano segno di benedizione da parte di Dio e lui era benedetto perché aveva molte ricchezze e perché aveva da sempre osservato i comandamenti.
Potremmo parlare della gratuità della salvezza, potremmo soffermarci a vedere l’importanza della gratuità nell’agire e nel ricercare se stessi nella fedeltà ai comandamenti, potremmo parlare dell’importanza del distacco dalle ricchezze.
Oggi mi sembra importante che noi ci soffermiamo, invece, proprio sul fatto che è importante avere qualcosa per potervi rinunciare.
Se non siamo nulla non possiamo donarci; se non abbiamo niente non possiamo dare niente. Il ricco del vangelo aveva molto ed era molto, per questo gli è stato chiesto molto e siccome era molto attaccato a quello che era e a quello che aveva, se ne è andato via triste perché ha dovuto mettere da parte il suo sogno di perfezione per non rinunciare a quanto aveva e a quanto era.
Questa è una delle dinamiche del vivere che più ci crea difficoltà. Dobbiamo darci da fare per essere e per avere, ma ogni volta che vogliamo crescere, fare un passo nuovo e un passo in più, dobbiamo rinunciare a quanto già avevamo. Quello che siamo dobbiamo rischiarlo se vogliamo fare un salto in avanti. Se vogliamo seguire il nostro desiderio di bene ulteriore, dobbiamo cercare in noi la disponibilità a perdere quanto già abbiamo e abbiamo conquistato con fatica.
Così è nella vita di tutti i giorni: se non rischi e non sei disponibile a lasciare, non puoi ascoltare il desiderio che c’è in te di perfezione. Così è per quanto riguarda la nostra fede: se non sei disponibile a lasciare le tue conquiste con le quali puoi dire di essere stato bravo, non puoi pensare di potere entrare nel mondo della gratuità e dell’amore.
Dunque è importante essere e conquistare, ma è altrettanto importante sapere lasciare. Se non lasci non hai le mani libere per nuove conquiste. Se uno che ha conquistato una vetta si ferma sulla stessa e non la lascia, non accetta di scendere di nuovo a valle, non potrà mai conquistarne un’altra e raggiungere, oltre che cercare, orizzonti nuovi.
Nella fede fino a che non decidi di lasciare quello che hai conquistato, fino a che non ti dimostri disponibile ad abbandonare quello che hai imparato, quello che ti hanno sempre detto, quello che ti hanno insegnato al catechismo, non potrai mai fare il salto della trascendenza, il salto della libertà della fede, il salto del vendere tutto quello che hai per darlo ai poveri e per potere seguire Gesù.
Essere belli, diventare belli, essere disponibili a perdere la propria bellezza, a diventare brutti per riscoprire un’altra bellezza nuova, diversa e più grande, non è cosa facile soprattutto quando di mezzo ci si mette il nostro quotidiano.
Domandiamo al Signore la grazia di essere sempre più belli e sempre più ricchi, ma soprattutto domandiamo a lui la grazia di comprendere che saremo sempre più belli nella misura in cui noi abbandoneremo la nostra bellezza e ricchezza donandola agli altri, ai più poveri. Dobbiamo diventare belli per accettare di essere brutti per potere essere più belli. Dobbiamo diventare sempre più ricchi per scegliere di diventare poveri per potere essere più ricchi procurandoci un tesoro nel cielo.
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