p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 20 Giugno 2021

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«Passiamo all’altra riva», dice Gesù ai suoi discepoli. Ecco che, mentre scendeva la sera, «si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena». E che cosa fa Gesù, il Maestro? Dorme. Anzi, dormiva «sul cuscino» sottolinea l’evangelista.

Siamo di fronte a marcati contrasti: lo scatenarsi violento delle forze della natura si oppone con enfasi al riposo di Gesù (forse talmente stanco da non venire svegliato dalla burrasca?); la tempesta «grande» alla «grande bonaccia»; la parola salvifica del Maestro alla paura «grande» dei discepoli: «Non t’importa che siamo perduti?». Sono disperati, si sentono abbandonati di fronte alla morte e, se siamo onesti con noi stessi, sappiamo che ogni paura in radice è sempre paura della morte. Si erano fidati di Gesù, lo avevano seguito mentre insegnava alla folla che «il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa».

Gesù e i suoi stanno affrontando insieme il buio della sera solcando il mare: stanno passando dall’ascolto dell’insegnamento in parabole alla conoscenza della forza che libera dalle insidie del male: subito dopo il nostro brano si legge infatti dell’uomo posseduto da uno spirito impuro che nessuno riusciva a tenere legato neanche con catene, uomo che va incontro a Gesù e viene liberato.

Gesù mette a tacere mare e vento con la stessa potenza con cui scaccia i demoni. La sua parola opera, produce liberazione, crea salvezza, ridona vita. È parola efficace, affidabile. In Gesù si riconosce l’autorità di Dio. «Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia». E questo non può non suscitare «grande timore» dischiudendo interrogativi.

«Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”». I discepoli sono sempre riconosciuti come persone dalla fede fragile, eppure stando con il Maestro hanno modo di non restare bloccati nella loro mancanza, di non fermarsi alla loro piccolezza, di ricominciare.

Gesù, come di consueto, rilancia la domanda ai suoi, e a noi con loro, quasi a dire: interrogate la vostra paura, date un nome alle vostre paure; e cercate di approfondire, affinare e radicare la vostra fede, il vostro affidamento, la vostra fiducia, chiedendovi in chi è riposta. Paura e fede. Perché paura e fede abitano il nostro vivere, e il modo in cui cerchiamo di viverle svela la fibra della nostra umanità. Per intravedere la fede nella resurrezione, non possiamo non attraversare morte, paura, stupore e spavento, come le donne al sepolcro.

Gesù rimanda sempre alla nostra fede-fiducia, alla nostra capacità di credere, la suscita, perché in ciascuno dimora qualche seme di fiducia, forse la speranza di potersi affidare, anche al di là della nostra consapevolezza.

Il nostro racconto si conclude lasciando aperta una domanda. I discepoli «furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”». È la questione dell’identità di Gesù, che ci accompagna per tutto il vangelo, che pervade la nostra vita di credenti, nel nostro non avere ancora, e ancora, fede.

Ricordiamoci allora che nelle nostre sere, attraversando il buio delle nostre giornate, possiamo cercare e conoscere la buona notizia, il vangelo che è Gesù, e con lui riconoscere chi siamo noi, chi siamo chiamati a essere, e chi abbiamo accanto, attraversando le nostre paure e rinsaldando la nostra fede, corroborando la nostra disponibilità a fidarci e a divenire persone affidabili.

Sappiamo, per esperienza, che è difficile essere costanti nel bene. Ma nelle difficoltà siamo chiamati a vivere una costanza di ricerca di bene. Tutto questo non toglie la paura accompagnata dal coraggio.

Alle volte ci domandiamo se è mai possibile non soffrire nel compiere il bene. Siamo spesso tentati di respingere certe situazioni pur non simpatiche. Non siamo gente che, di fronte a certe incomprensioni soffriamo di disgusto?

Il dono della fortezza non è un essere non sensibili al male impersonato dal mare. Non è cosa piccola superare le paure di perdere la vita e di perdere il senso della propria esistenza. Affrontare la noia, il tedio, il disgusto dell’esistenza è sempre un atto di spinta a mettere in atto il bene.

Uno degli inviti di questo vangelo pare chiaro: siamo chiamati a riconoscere le nostre fragilità. Dentro di noi abbiamo un fondo di timore, di paura, un senso di disagio e di difficoltà. Riconoscere di essere vulnerabili e passo di cammino per cogliere il nostro coraggio. L’invito in questo essere sulla barca con Gesù pare chiaro: prendere con chiarezza la nostra debolezza, abbandonando il nostro bisogno di volerla nascondere. Si, in fondo, il mare in tempesta, non è realtà dove noi vogliamo superarlo solo con le nostre forze. Non turbiamoci per le nostre avversità, viviamole come dono di vita, modo semplice e sano di camminare sempre più con Gesù!

In fondo tutto questo altro non è che uno scegliere di vivere il dono di amore del Padre senza cedere allo scoraggiamento, alla paura, alla scontentezza logorandoci in cose inutili.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM