Dio si veste di umanità, grazie alla donna di Nazareth, giovane ragazza e ai suoi nove mesi. Nei nove mesi, entra il Figlio di Dio.
Non ce ne rendiamo conto, nel nostro quotidiano, ma occorre un tempo per fare posto, nel pensiero e nella carne, a Dio. Nel pensiero e nella carne della donna di Nazareth, come nel pensiero e nella carne di ognuno di noi.
Mente e corpo, per concepire è necessario pensiero e corpo: questo è il Verbo che chiama il corpo di una donna. È chiamata a nove mesi per fare posto. Fare corpo in noi al Verbo è accogliere la sua richiesta di corpi.
Per fare posto occorre sgombrare: l’invito è sgombrare. Troppo cose occupano di pretese la mia vita. Troppe cose fanno ingombro e fanno frastuono. Cose che spengono l’attesa, ottundono lo spirito, addormentano la coscienza, dirottano l’attenzione su ciò che non è essenziale, spengono la vigilanza. La chiamata è decifrare le attese più vere per un eccesso di occupazione o di stolta frenesia.
L’oggi è un’occasione per questo necessitiamo di disoccupazione mentre evidenziamo la voglia di occupazione a tutti i livelli.
Siamo fermi e questo ha senso per potere aspettare che la vita ci raggiunga quando noi continuiamo a correre, fuggenti.
Sgombrare: il Natale può vivere il pericolo di un ulteriore ingombro senza un segno che parli all’umiltà della nostra esistenza, all’umiltà della casa di Nazareth e alla ruvida paglia di una mangiatoia. Le nostre strade, forse vuote per un virus, ci parlano della bellezza di uno sgombro, di uno sgombro alla via dentro di me, a liberare il mio intimo dalle molte pietre. Questo mi dice che non è Natale, non è venuta del Signore, se non è dentro di me. Se non è dentro di me, non succede nulla.
Dio ama questa terra e queste nostre strade: sarei lontano dalla verità del Natale se pensassi che Dio viene se la situazione è degna del suo venire: è cosa falsa!
La presenza di Dio nell’umanità non è cosa idilliaca, è cosa reale in questo mondo reale segnato da tante cose buone e cattive, segnato da divisioni e malvagità, povertà e prepotenze. Lui ha scelto di abitare la nostra storia così come è con tutto il peso anche della sua indifferenza.
Tutto succede in una casa, una casa comune, in una città disprezzata, in una terra col marchio del meticciato, succede che la chiamata a collaborare sia a una ragazza senza discendenze di nobiltà, grazie ad un angelo che le cambia il nome: Piena di Grazia è il suo nome, non Maria. Questo Piena di Grazia è il tuo nome più vero, è nome pieno di timore. Questo ci apre ad un sospetto: Dio, ingigantito dalle religioni.
Noi, nella nostra stagione desolata, gridiamo all’impossibilità, guardando in noi e fuori di noi, gridiamo che non ci sono le premesse ma grembi sfioriti e avvizziti.
È bello che Maria interroghi l’angelo, che cerchi di portare i suoi argomenti, lei che non è donna senza pensieri, donna dall’obbedienza cieca.
Lei chiede come può avvenire. Finalmente una donna che chiede, in tempi in cui le donne non possono chiedere conto perché le decisioni erano e sono di altri: uomini che al mattino ringraziavano Dio di non averli creati donna. È bello che una donna, alla giovane età di Maria, chieda, chieda conto. Maria la trasparente e sincera, sente di dovere delle spiegazioni di quanto stesse succedendo a Giuseppe.
Maria è per noi donna sottomessa, pallidamente passiva, senza reazioni e sussulti. La ragazza di Nazareth chiede conto. Il suo sì a una gravidanza fuori dalle regole ha provocato occhiate di sospetto e di disistima. Il suo sì lo dà dopo che l’angelo le ha ricordato la possibilità inimmaginabile di Dio, un Dio dentro le nascite, dentro le nascite insperate.
In risposta l’angelo parla di qualcosa di impalpabile: lo Spirito. Cosa è questo Spirito? Stai coi piedi per terra perché qui in terra stanno le forze che possono generare un cambiamento.
Maria crede all’angelo, crede ciò che sembra follia credere, lei dà fiducia a questa congiunzione tra spirito e potenza. Il tutto per nascite nuove. Anche ciò che è impossibile, umanamente, può diventare possibile, perché nulla è impossibile a Dio.
È bello, in vigilia del Natale, indugiare per potere narrare quali sono le premesse per un Natale vero, quali sono le condizioni per nascite nuove. Possiamo dire a noi: anche tu fa nascere. Dio fa nascere. Non fermiamo le nascite. Il Figlio di Dio non chiede, oggi, il tenero grembo di una ragazza di Nazareth. Lui chiede a noi di essere grembo. Di nascite. Lo faremo se daremo ospitalità in noi al Verbo di Dio; se daremo spazio in noi alla linfa buona della Sua vita, al suo Vangelo. È accogliere il dono dell’innesto che è presentimento di vita nuova, luminosa, finalmente umana.
L’annunciazione mi insegna che si comincia da poco. Chi ha udito il sussurro delle parole della vita? Chi le ha accolte come invito al cammino del mondo? Nessuno! Eppure il sì è di una ragazza in risposta a parole dell’angelo che raccontavano le nascite: la sua maternità e quella di una anziana, Elisabetta, che aveva concepito nella sua vecchiaia. La giovane e la anziana a vigilia di nascite. E noi? Donne e uomini, giovani e anziani, con una possibilità di nascite: chissà se ci crediamo, come ci invita a credere il vangelo.
Avvenga di me secondo le tue parola: questo è giusto e puro, è amabile e onorato, è virtù che merita la lode. Avvenga perché tu, Figlio, vieni nelle nostre strade e nelle nostre case. Vieni in me se ti faccio posto, nei miei pensieri e nei miei sogni, nella mia vita. Avverrà. Se inizierò da me, come Maria. Senza aspettare che inizino altri.
Maria interroga, per questo scoprirà, poco a poco, cosa significhi mettersi nelle mani di Dio. Lei c’è: eccomi! Se diciamo eccomi, ci sono, ci sono per te, nasce la vita, nasce una speranza. È l’esatto opposto del tirarsi indietro, del non prendersi una responsabilità. È il coraggio di rispondere: ci sono, eccomi!
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM