Dio Padre è sempre presente nella vita dell’uomo, sia nel bene come nel male. Ma come un padre o una madre vogliono il bene del figlio, così è Dio Padre verso di noi.
Non è questione di risolvere se Dio vuole o permette il male, è questione personale questa, non di Dio. Noi scegliamo o vogliamo il male, non Dio Padre. Noi rifiutiamo il bene, soprattutto il bene che ci viene da Dio per grazia. Preferiamo il nostro bene e per questo periamo male. Operiamo male rifiutando Dio, rifiutando chi Lui manda a noi per richiamarci al dono del banchetto. Noi rifiutiamo Dio perché troppo presi dai nostri affari e rifiutiamo Dio perché troppo presi dalla nostra religiosità.
In tutti i casi ciò che fa la differenza è la convinzione che noi ci salviamo nonostante Dio, non grazie a Lui. Preferiamo la nostra disgrazia alla sua grazia. Questo ci porta nel male sia che ce ne rendiamo conto, sia che non ce ne rendiamo conto.
Dio Padre prepara il banchetto di nozze del Figlio. Invia i suoi profeti e, da ultimo, Giovani Battista perché il popolo eletto sia disposto ad accogliere il Signore che viene. Ma il popolo eletto non vuole accogliere il dono del banchetto. Invia poi i suoi apostoli. Ma di loro il popolo eletto, che sia quello ebraico come quello cristiano, non se ne cura. Rifiuta il Signore semplicemente perché seguiamo Dio mammona, il possesso della terra e del denaro. Gli altri, le persone religiose, tutte intente alle loro osservanze, non accettano il dono della Pietra scartata che diviene testata d’angolo su cui si poggia tutta la casa della nostra esistenza. È la Pietra del dono e della condivisione. Anche quando siamo già dentro al banchetto perché sembra che abbiamo accettato l’invito, noi possiamo arrivare senza abito nuziale. Arriviamo cioè con l’abito del possesso anziché con l’abito della condivisione, con l’abito dell’albero della croce, con l’abito del dono gratuito della propria esistenza vissuta nel bene e grazie al bene. Noi chiamati rischiamo di non essere degni del banchetto perché ci riteniamo giusti e ricchi e sicuri: non ci accorgiamo di essere infelici, miserabili, ciechi e nudi. Non ci riconosciamo in chi dice e non fa, anche se questi siamo noi. Non vediamo chi veramente siamo per questo ci togliamo la possibilità di convertirci partendo dalla verità di quello che siamo.
Noi siamo i chiamati che non accettano l’invito perché in tutt’altre faccende affaccendati. Pensiamo che l’amore del Padre per noi sia cosa secondaria, sia cosa da messa alla domenica, sia cosa non vitale, sia semplicemente qualcosa che noi diamo a Lui per tenercelo buono. Gli eletti di cui ci parla il vangelo sono i chiamati che sanno di avere rifiutato, che sanno di essere fuori, che sanno di non avere la veste nuziale che è solo dono. Coscienti di questo noi diveniamo disponibili a convertirci per rispondere a Dio e alla sua misericordia di Padre, usando misericordia verso gli uomini.
Dio Padre non prepara qualcosa di male per noi, siamo noi che ce lo costruiamo con le nostre mani da farisei che sono convinti di essere nel giusto. Dio Padre non dà il male e non permette il male, ma si sporca le mani col male. Non si arrende di fronte al male che noi facciamo quando non vogliamo la sua grazia preferendo la nostra disgrazia che nasce dai nostri cosiddetti meriti. Di fronte all’indifferenza degli uomini e alla loro malvagità, il Padre ritorna alla carica con una carica di grazia infinita. Grazie ai profeti prima, agli apostoli poi, al Figlio che muore in croce per noi, il Padre non si ritira mai dalle faccende degli uomini. Ogni chiusura degli uomini è per Lui occasione di bene, occasione per aprire sempre di più la sua vita. Partendo dal popolo eletto fino ad aprire il banchetto festoso di nozze a tutti gli uomini, sempre liberi di rifiuto e di indifferenza.
Non prepara il pranzo di nozze quando gli uomini sono pronti, lo prepara prima. Non si ferma di fronte alle loro chiusure, ma le prova tutte per toccare le loro aperture. L’eucaristia saramentale di vita è preparata sempre e comunque come dono di incontro. Non è un nostro merito, anzi scaturisce la forza dell’eucaristia da quella croce che è simbolo di rifiuto e di male da una parte e di risposta di bene dall’altra.
Dio Padre è come la canna da zucchero: per quanto la spremi esce sempre e solo dolcezza e amore.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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