p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 2 Maggio 2020

A conclusione di questo capitolo sesto del vangelo di Giovanni, dove la fede ci è stata manifestata come un mangiare e un bere, un masticare e un metabolizzare, ci possiamo rispecchiare negli atteggiamenti dei discepoli di Gesù.

Emerge come sia importante essere veri con noi stessi e di come questa verità con noi stessi non sia cosa scontata. Non è importante che in noi vi sia accettazione o rifiuto, è importante che in noi trovi spazio la verità del nostro relazionarci.

Che possa emergere il rifiuto che c’è in noi dell’invito di Gesù a mangiare di Lui per diventare come Lui.

Che possa emergere l’accettazione a buon mercato con cui giochiamo il nostro bere il suo sangue. Se giochiamo a bere il suo sangue noi ci scandalizziamo quando Gesù versa il suo sangue per coloro che lo mettono in croce. Se ci giochiamo nel bere il suo sangue allora noi non nascondiamo il nostro agire a buon mercato e camminiamo verso il donare la nostra vita per l’altro, non tanto perché ci guadagniamo, quanto invece perché è il bello della vita.

Accorgerci che noi diamo per scontato il fatto di essere a posto perché celebriamo l’eucaristia in chiesa, è passo importante per prendere coscienza che la celebrazione dell’eucaristia è dono di vita, è cosa bella perché vita ed è vitale perché vissuta fuori dalla chiesa. Diversamente l’eucaristia rischia di diventare un feticcio, qualcosa che andiamo a prendere perché così siamo a posto, perché così abbiamo pagato pegno per le nostre infedeltà. Abbiamo fatto qualcosa per far piacere a Dio così che Lui chiuda un occhio su quanto noi siamo poco fedeli alla chiamata al suo mangiare e bere. La chiamata a non recarci in chiesa a celebrare, cosa che stiamo vivendo ogni giorno, è una chiamata a vivere il dono dell’eucaristia, pur nella mancanza del dono liturgico, come un dono vitale da non smettere di vivere nel quotidiano. È la cosa più semplice e più bella allo stesso tempo, che però siamo portati a dimenticare ogni giorno per dare spazio al solo movimento liturgico, che è essenziale, ma si riduce a nulla se strumento per negare la centralità della eucaristia come dono di vita da vivere nella vita.

Questo modo di essere è un modo naturale, più scontato, per non accettare la nostra chiamata a mangiarlo. Salvare la facciata ci permette di non dovere vivere la bellezza dell’essere come Lui. Dare per scontato l’adesione a Lui magari dicendo: è chiaro che è così! È la premessa per fare e vivere il contrario.

Prendiamo coscienza che ciò che importa non è tanto che noi cambiamo il comportamento: sa troppo di un “mettere a posto le cose”. Ciò che è importante è che noi abbiamo la libertà di chiamare col suo vero nome l’atteggiamento che sottostà a quanto noi viviamo e a quanto agiamo.

Potremo allora cogliere la bellezza della libertà di vedere che la croce è scandalo proprio perché Lui pretende che questo sia salvezza del mondo. Svelare la menzogna in noi, troppo fedele al salvare le apparenze, che la croce ci scandalizza è aprirsi al Dio amore che si dona fino a dare la sua vita per chi lo uccide: io. Noi, chiamati a vivere il pane che riceviamo nell’eucaristia, subiamo lo scandalo. Assimilare il suo corpo dato per noi perché il nostro corpo diventi dono di amore per i fratelli, lasciandoci animare dallo Spirito, è vita, vita bella, risposta alla chiamata dalla Vita!

Il senso dell’eucaristia che noi celebriamo è allora indubbio: noi celebriamo ciò che viviamo quotidianamente: questo è il cammino. Se viviamo menzogna e apparenza, noi celebriamo menzogna e apparenza. Se viviamo verità che non ha nulla a che vedere col presentarci belli, noi celebriamo verità di vita e di dono.

Così possiamo camminare, così la nostra vita viene trasformata progressivamente nella verità e nella libertà. Così la nostra vita diventa dono piccolo e totale allo stesso tempo. Come l’obolo della vedova: non interessa che sia tanto, interessa sia tutto. Questa è la vita eterna, questa è vita profondamente umana e umanizzante e dunque divina.

Questo stile abbraccerà sempre più, come abbraccio del Padre, il nostro pensare e il nostro agire, il nostro essere viene trasformato nel cuore stesso di Cristo. A questo infatti siamo destinati e creati: per diventare ciò che siamo: figli del Padre!


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
FONTE: Scuola Apostolica
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