Gesù si trova con i discepoli nel tempio. Quel tempio che da casa di preghiera era stata ridotta ad una spelonca di ladri, dove il commercio sembrava essere la cosa più importante del luogo. Un luogo dove il tesoro del tempio, dove i ricchi gettavano del loro superfluo, era arricchito veramente solo dai due spiccioli della povera vedova che aveva dato tutto quanto aveva per vivere.
In quello stesso tempio, casa di preghiera del Padre, Gesù era continuamente ricercato perché il potere potesse prenderlo, imprigionarlo e condannarlo a morte. In quel tempio, in quella chiesa, sembra essere centrale non il Misericordioso ma la giustizia, quella col bilancino che mette su di un piatto le azioni buone mentre sull’altro mette quelle cattive. Una chiesa dove il Padre viene squalificato in nome di una giustizia che di divino ha ben poco.
In questo tempio dunque, la controversia tra Gesù e le autorità giudaiche continua. Oggi salgono sul palco degli accusatori i farisei e gli erodiani. I due gruppi sono in polemica con Gesù e vogliono tentarlo cercando di prenderlo in castagna. Loro si avvicinano a Gesù con un tono politicamente corretto: usano i complimenti per introdurre le loro domande. È un’usanza che ritroviamo spesso nei discorsi di tanti ecclesiastici e non. Introdurre un discorso facendo i complimenti al prossimo. Dire una cosa cominciando a dire cose belle, anche se non vere. Anche se fossero vere ciò che salta all’evidenza è la motivazione che ci muove a relazionarci in questo modo. La linea di falsità che sottostà ai complimenti si svela nella domanda posta a Gesù. La linea di falsità sottoposta ai nostri complimenti si svela subito dopo, quando si comincia a pestare duro sulle cose che non vanno.
Sia ben chiaro che qui ciò che si vuole evidenziare non è il fatto che si possa dire bene dell’altro, quanto invece il fatto che il dire bene sia un lecchinaggio falso e tendenzioso che prepara solo il terreno alla smentita del prossimo.
La risposta prima di Gesù è chiara e svela le vere intenzioni di farisei e erodiani: “perché mi tentate”?
Il movimento successivo è altrettanto chiaro. Gesù non ha con sé la moneta del tributo a Cesare, i suoi interlocutori sì. Gesù evidenzia l’immagine che c’è sulla moneta, cosa che gli interlocutori sanno bene a chi appartiene. Gesù mette in evidenza, pur senza dirlo, il loro trattare la casa del Padre come una spelonca di ladri. Nella casa del Padre non era ammesso portare alcuna immagine e loro portano l’immagine di un uomo che si proclama dio.
Questo è blasfemo per un ebreo, foss’anche erodiano e fariseo. La conclusione di tale polemica è una sola: di fronte ad ogni scelta di vita è centrale ispirarsi a Dio. Dio sta al di sopra di tutti perché si è fatto Padre e Servo e Fratello di tutti. Le parole di Gesù escludono comode soluzioni scontate rimandando al punto di riferimento assoluto. La ricerca di un comportamento coerente in ogni circostanza della vita, non può passare solo attraverso le nostre paure e ansie, i nostri circoli viziosi di pensiero e di rabbie, le nostre elucubrazioni mentali, pur le più alte che siano.
Il discernimento prima o poi o entra in rapporto con il volto del Padre che è in noi, oppure si ferma a metà strada.
La legalità o la non legalità non potrà mai essere una risposta vera alla domanda di senso dell’uomo. Presto o tardi diventerà una cosa da legulei dove il più bravo a raccontarla è colui che ha ragione, non certo chi evidenzia maggiormente la verità.
Il tributo a Cesare che era particolarmente odioso per i giudei perché vissuto come forma di sudditanza, Gesù lo usa per far vedere la loro sudditanza e la sua libertà. La domanda rivolta a Gesù è fatta con astuzia e malizia. La risposta di Gesù evidenzia, al di là dei complimenti, la vera natura della domanda: perché mi tentate? Evidenzia la loro e nostra ipocrisia. Quanto del nostro rapporto con Dio e col prossimo è ipocrita nel senso di non vero? Facciamo dei gesti, anche sacri, per metterci a posto la coscienza e per essere a posto con la legge e il potere, non certo perché ci crediamo.
Ciò che ci interessa veramente è la verità o il prendere in castagna il prossimo? Riusciamo ancora a scorgere la differenza tra l’uno e l’altro atteggiamento? Ci accorgiamo che un modo di fare è mortifero mentre l’altro porta vita? O per noi l’uno vale l’altro?
Sappiamo che tu sei sincero e non guardi in faccia a nessuno, caro Gesù. Vedi che siamo ben disposti verso di te? Ti facciamo anche i complimenti! Tu sei un uomo libero nel decidere e nell’eseguire le tue decisioni. Ci appelliamo a questa tua libertà sottoponendoti una domanda importante, una domanda trabocchetto: si deve pagare il tributo a Cesare? Avete detto una cosa vera: sono libero e a partire da questa mia libertà evidenzio la vostra falsità, il vostro mettermi alla prova, il vostro tentare di mettermi nell’angolo. Evidenzio la vostra idolatria che contrasta con il luogo dove ci troviamo che è la casa del Padre, luogo di preghiera.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
FONTE: Scuola Apostolica
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