Dopo avere fatto eucaristia nel deserto con la folla, dopo avere festeggiato l’incontro con questa folla che tanto aveva mosso a compassione il Signore Gesù, arriva quasi subito il momento di lasciare.
Questo lasciare di Gesù è stato spesso inteso come un non attaccarsi alle persone – ed è cosa vera – e quindi non avere relazioni durature, non darsi la possibilità di amicizia – e questa è cosa non vera frutto di una modalità di intendere il servizio della parola come un mestiere.
Dopo questa eucaristia del deserto Gesù “costrinse i discepoli a salire sulla barca” e a partire verso l’altra riva. Noi avremmo detto che è il momento della gloria, un momento da godere tutto. Per Gesù è il momento della gratuità che non chiede nulla a coloro che sono stati beneficati dalla sua compassione.
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Il dono di gratuità, quello sì, richiede spesso che chi compie un gesto buono poi sparisca. Non tanto per non avere una relazione coi beneficati, ma perché il dono, se vuole essere gratuito, deve essere liberante. Chi dona dopo che ha donato diventa ingombrante e rischia di creare schiavitù. È ben difficile che chi dona riesca a creare uno spazio di libertà e di uguaglianza. Chi riceve è sempre a rischio di essere in debito e in inferiorità, questo non è bene. Non è bene fra di noi, figuriamoci se è bene in situazioni ancora più pesanti quali possono essere i servizi che facciamo nel terzo mondo.
Comunque sia, la ritrosia dei discepoli a partire, anche se non esplicitata, la si respira nell’aria: Gesù costrinse i suoi a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva.
Chissà che fatica. Quante domande: ma perché dobbiamo lasciare i nostri beneficati? Non li abbiamo mandati a casa quando avevano fame, tanto più ora che sono sazi! Appunto: sono sazi, non hanno più bisogno di noi. È il momento della libertà con cui giocarsi il dono ricevuto. Ma perché noi ce ne andiamo mentre Lui rimane? Vuole godersi da solo la gloria, certamente, pensiamo noi!
La traversata si fa faticosa. Il lasciare diventa pesante, appesantito dalle nostre fatiche e dalle nostre recriminazioni. Sentiamo la folla come cosa nostra nei momenti di gloria. Rischiando di perdere quel pizzico di gratuità che unica può dare libertà al prossimo.
Il vento è contrario e le acque sono agitate da venti contrari. La voglia di tornare indietro è tanta. Tornare perché forse tutto non è ancora perduto e qualcuno magari è rimasto, è un richiamo che noi continuiamo a sentire. Magari ci diciamo che possono ancora avere bisogno di noi: non è cosa buona lasciarli soli e abbandonarli a se stessi.
Cominciano i dubbi: ma perché ce ne siamo andati. Cominciano le paure: i venti contrari soffiano sempre più forti. Cominciamo a dubitare anche di Cristo: ma cosa abbiamo combinato, perché ha voluto che ce ne andassimo? Forse non abbiamo compreso quanto ci ha detto. Forse era solo un fantasma colui che ci ha spinto a fare tutto ciò.
Quando l’amico diventa un fantasma, la paura fa novanta. Mentre tutto questo succede e noi trattiamo in questo modo il dono ricevuto del partire, Gesù se ne sta in solitaria, finalmente ce l’ha fatta, in preghiera. Si era ritirato per fare lutto per la morte del Battista, si era lasciato toccare dalla compassione per la folla. Ora se ne sale sul monte a pregare, standosene in disparte, da solo.
La gratuità è un dono, sia quando lo riceviamo sia quando lo doniamo, che è troppo grande per potere essere trattato con superficialità. La capacità di gratuità ha una forza educativa e rivoluzionaria di fede enorme. Ha bisogno di cura. Ha bisogno di attenzione. Quell’attenzione che ci instrada sulla via del discernimento, del comprendere ciò che mi è di impedimento alla libertà della gratuità, e ciò che invece la favorisce. Tocchiamo il lembo del mantello del Signore Gesù, perché possiamo essere guariti dalla nostra smania di gloria e possiamo scegliere ogni giorno la via della gratuità e della pace, la via della libertà nostra e del prossimo.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
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