Ognuno di noi ha delle cose o degli atteggiamenti che portano morte nella propria esistenza. Vi sono scelte che sono per la morte e scelte che sono per la vita. Vi sono convinzioni che odorano di morte e convinzioni che profumano di vita. Vi sono paure che danno la morte e movimenti dell’anima che donano la vita.
Spesso capita che usiamo anche Dio per dare e darci morte. Certe gabbie che ci costruiamo in nome di Dio, sono per la morte perché negano uno dei principi più grandi della vita che è la libertà.
A volte usiamo Dio per legare pesanti fardelli sulle spalle del prossimo, fardelli che noi non muoviamo neppure con un dito. E sono fardelli che danno la morte e opprimono il cuore del prossimo.
Altre volte usiamo Dio per minacciare il prossimo, altre ancora per angariarlo e per demolirlo. La Parola la usiamo spesso per puntare il dito dimenticandoci della trave che c’è nel nostro occhio che non ci permette di vedere con libertà e chiarezza.
Il nostro è un Dio dei vivi, non dei morti, oggi non domani.
Non possiamo cercare di risolvere i nostri problemi o le nostre frustrazioni mettendo al mondo un figlio. Un figlio non può risolvere un problema di coppia venendo al mondo. Una coppia è chiamata a dare la vita per amore non per se stessa, per risolvere i propri problemi.
Così la comunità cristiana non può mettere in campo una iniziativa perché frustrata dagli scarsi risultati. Una iniziativa nelle nostre comunità ha senso se messa in campo per un gesto di amore, perché è utile all’altro, non perché fa crescere la mia fama e la mia bravura.
Così noi religiosi non possiamo fare delle iniziative nuove perché altrimenti moriamo. Non si può ricercare delle nuove imprese perché così ci sentiamo vivi. Non possiamo mettere in campo delle iniziative per contrasto o per aggressività o per fare vedere che noi siamo ancora validi. Non possiamo fare nuove iniziative perché così gli altri ci vedono e vengono da noi e ritroviamo, in questo modo, nuove vocazioni.
Questo non è servire il mondo ma servirsi del mondo. Questo è essere figli di un dio dei morti e non del Dio dei vivi. Pensare a partire da noi stessi è un pensare secondo la morte e non secondo la vita. Agire per ottenere anziché per servire, è essere servi della morte e non della vita.
Siamo figli di un Dio della vita e per questo siamo chiamati a risorgere oggi. Siamo chiamati a riconoscere le nostre scelte e i nostri pensieri da necrofili. Cogliere il nostro agire come agire che uccide la vita dove la libertà anziché fare crescere questo dono di Dio è un invito esplicito a camminare sulla via della vita, sulla via della risurrezione.
Non stupiamoci se anche oggi ci ritroveremo ad agire da amici della morte. Riconosciamo le nostre scelte mortifere. Guardiamole in faccia e rimettiamoci in cammino verso il Dio della vita, sentiamoci accompagnati dal Padre di Gesù che ci chiama oggi a risurrezione.
Non scandalizziamoci se ci ritroveremo a girare fra le tombe della morte, ascoltiamo Lui che ci chiama alla vita e rifondiamo anche oggi il nostro desiderio di vita e di risurrezione. Ci ritroveremo a servire i nostri fratelli per liberare la nostra voglia di bene, il nostro desiderio di vita, quella vera, quella libera, quella risorta.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM