La venuta del Figlio dell’uomo è certa, nel frattempo bisogna importunarlo.
Questa è la fede: una richiesta insistente del suo ritorno, che tiene desto il nostro desiderio di lui e non ci lascia cadere nella tentazione radicale (e non abbandonarci alla tentazione) di non attenderlo più. Non attenderlo più significa lasciare spazio al lievito dei farisei che è l’ipocrisia e che ci porta alla paura della morte anziché al timore del Signore.
La salvezza non viene perché non è invocata. Il Salvatore tarda a venire solo perché non è desiderato.
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“Venga il tuo regno” (11,2), ci ha insegnato nella preghiera del Padre Nostro Gesù. L’uomo non può produrre il Regno: è dono di Dio! Può soltanto accoglierlo. E lo accoglie solo se lo attende. E lo attende solo se lo desidera. L’invocazione dell’uomo permette a Dio di venire e di venire accolto. Lui viene sempre e comunque, ma se non è accolto è come se non venisse: pioggia che scivola su di un terreno argilloso, non penetra e non feconda.
La preghiera è dunque necessaria per non perdere la fede nel suo ritorno e per entrare in comunione con Dio.
Tanti sono gli spunti del vangelo di oggi, ma iniziamo dalla preghiera. La preghiera è una cosa che “bisogna” fare. Questo verbo è lo stesso che viene utilizzato in Luca per indicare che Gesù “bisognava” che fosse consegnato agli anziani, soffrire, morire e poi risorgere.
“Bisogna” pregare: indica la morte dell’io per lasciare posto a Dio.
La preghiera va fatta sempre, perché la preghiera non si sovrappone a nessuna azione. Le illumina tutte e le indirizza al loro fine. Il cuore deve essere sempre intento in Dio e presente a lui, perché è fatto per lui.
L’azione che non nasce dalla preghiera è come una freccia scoccata a caso da un arco allentato: senza fine e senza forza, non può raggiungere il suo bersaglio.
La preghiera è desiderio di Dio: questo è il più grande dono che egli ci ha fatto e che può fare ancora a noi che perdiamo questo desiderio nelle preoccupazioni delle nostre giornate.
La preghiera è il luogo del tedio e dello scoraggiamento (v. 1 senza scoraggiarsi): sembra tempo perso! Ed è vero. Perché innanzitutto è un tempo gratuito, che non rende, che non porta a nulla: serve solo a fare festa con Dio e gli amici. Ma quanto brutti siamo diventati, dentro e fuori nonostante le cremine, senza questa perdita di tempo.
La preghiera è un puro desiderio, povero e in grado di fare nulla. E proprio in questa nullità raggiunge il suo fine: attendere il tutto.
Ma il vuoto si riempie subito dei fantasmi e delle paure del cuore, che fanno uno spesso muro tra noi e Dio. Il nostro peccato, assenza e lontananza da lui, si evidenzia nella preghiera più che altrove. Mentre normalmente noi lottiamo con mosche e zanzare, quando preghiamo lottiamo con leoni e draghi; anzi con Dio stesso sul quale noi proiettiamo la nostra cattiveria.
La preghiera è lotta.
È lotta contro le nostre fantasie. La fantasia più grande è quella che ci porta a credere che Dio sia un giudice che non teme Dio e non rispetta l’uomo. Non ha coscienza, non gli importa di nulla e di nessuno, cerca solo di togliersi dai piedi l’uomo che gli gira intorno come una mosca fastidiosa. Dio è la persona peggiore che ci possa essere: senza religione e senza pietà. Questa è l’immagine che l’uomo ha di Dio, la sua maschera satanica che la preghiera ci mostra nel nostro cuore: un Dio ateo e sprezzante, che rispecchia le tentazioni di ateismo e di disprezzo di chi prega. Un Dio che non ascolta la mia preghiera, una preghiera che chiede sassi invece che pane, o scorpioni invece che pesci, e per questo non prego più perché tanto è inutile: Dio non ascolta e non esaudisce.
Ma Dio vuole darci il meglio che ha, non dei sottoprodotti, vuole darci se stesso: è necessario che in noi il desiderio cresca, che il desiderio di lui arrivi alle stelle fino a sentire il vuoto di tutto: a quel punto la nostra preghiera sarà veritiera.
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