Davanti al dono di amore di Dio scaturisce la sorgente della chiamata a seguirlo. Non siamo chiamati a seguire la Legge che stanca e opprime, siamo chiamati a seguire Lui che ci ama con mitezza e umiltà, non con un potere onnipotente che travolge le nostre esistenze.
Il passaggio è chiaro da un giogo della Legge alla gioia del giogo dell’amore. Il giogo della Legge ci impone una modalità d’essere che è accusatoria. È un’illusione pensare di potere osservare la Legge. I più grandi trasgressori sono coloro che maggiormente invocano la Legge e la condanna di chi la Legge non osserva.
La Legge è un dovere il cui effetto è il peccato e la morte, ci dice Paolo. Il giogo di Gesù è un giogo di amore. Questo giogo ci dice che non è cosa mia da fare, è invece cosa nostra da vivere.
Il giogo vede almeno una coppia di buoi che tirano il carro o l’aratro. Sotto questo giogo dell’amore il primo che se lo carica è Gesù. Noi siamo chiamati ad andare a Lui, a prenderci il suo giogo su di noi, portando il peso del carro insieme a Lui. Lui è davanti a noi e noi siamo tirati da Lui abbandonando il giogo della Legge e scegliendo il giogo dell’amore. Questo giogo è innanzitutto cosa ricevuta, amore donato e accolto, libertà di relazione col Figlio che ci invita alla danza di gioia dell’amore nella dinamica del Padre e dello Spirito Santo.
Se in questa danza di amore del Padre il Figlio ci chiama, lo Spirito è la benzina che muove le nostre gambe e il nostro cuore a vivere la vita e a non trascinarla più.
Non più sotto l’obbligo della Legge che dice che se fai una cosa e sbagli perdi la vita e guadagni un castigo e una condanna. Sapendo che noi comunque sbagliamo, è una condizione della nostra umanità, non illudiamoci, quella della Legge suona comunque come una condanna. Passare dal giogo della Legge al giogo dell’amore, alla gioia dell’amore, è passaggio fondamentale per le nostre esistenze. Non più condanna perché comunque vada tu sbagli, ma amore che ti fa vivere la pienezza della vita. È la libertà di accogliere il giogo dell’amore portandolo con Gesù: non siamo soli e non lasciamo solo Lui. È passare dalla religione dei comandamenti, che tanto piace al cristianesimo religioso, alla fede cristiana.
Venite è chiamata a tutti noi che abbiamo cercato e abbiamo sofferto questa ricerca. È chiamata a noi che siamo ancora convinti che la Legge serva a risolvere i problemi mentre invece è solo cosa di potere dei potenti contro i poveri e gli indifesi, proprio il contrario di quello che ci diciamo dovrebbe essere la Legge uguale per tutti. Essere fedeli a questa Legge è cosa inutile, stancante, logorante e disumanizzante, è solo una questione di potere.
Il giogo dell’amore che congiunge Padre e Figlio e noi con Lui, è il giogo della croce, sotto il quale c’è già il Cristo, che è però scelta libera di amore e di dono gratuito. Non è cosa che debbo fare, è cosa bella che desidero essere. Non perché altrimenti chissà cosa succede, ma semplicemente perché è cosa che sento viva e vitale, vera e viandante. Questa è via per uscire dalla morte ed entrare nella vita vera.
Impariamo da Lui questa logica umanizzante di vita accogliendo due suoi doni: quello della mitezza e quello dell’umiltà. Due virtù aberranti e aborrite dalla nostra cultura e dal nostro pensiero.
La mitezza è per noi la qualità del perdente. Mitezza, nella sua origine greca, è la qualità dell’imperatore che è clemente e non fa pesare la sua autorità. Dio è mite, la sua autorità non pesa perché è puro servizio. Quanto bisogno avremmo di questo dono per noi e per la nostra società!
Il secondo dono è quello dell’umiltà. Umiltà, in greco, significa tapino! Anche l’umiltà non è virtù apprezzata. Per il Padre incarnata in Gesù è una qualità fondamentale dell’amore. L’umile non ha bisogno di sentirsi o di dimostrarsi superiore all’altro. L’umile stima l’altro e lo stima superiore a sé. L’umile dona la vita per l’altro come la cosa più bella che potrebbe fare e che potrebbe essere.
Senza umiltà non c’è amore, c’è solo prepotenza e voglia di imporre all’altro cosa fare e di imporsi all’altro in tutti gli ambiti della vita. Così la relazione di coppia diventa un dovere e uno scontro anziché un incontro: io ho ragione e tu hai torto è l’unica via che ci rimane da percorrere. Ma nella coppia quando uno ha ragione e l’altro ha torto chi ci perde è la coppia, quindi l’amore di entrambe. Risultato: è una coppia scoppiata. Senza umiltà c’è solo prepotenza. La sapienza del Padre che è umile e mite, è la sapienza dell’amore.
Imparare questo da Lui significa non avere fretta ma, allo stesso tempo, mettersi per via. È l’esperienza del cammino che non chiede l’arrivo ma il ritornare a gustare la bellezza del passo dopo passo. Accogliamo il suo dono di mite e umile di cuore, che è vero amore.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore