p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 18 Giugno 2020

Papà, è il termine affettuoso e familiare con cui comincia la preghiera, vale a dire il rapporto con Dio Padre e Madre. È un balbettio che fa trasalire di gioia chi lascia che questo canto salga dal suo cuore, ispirato dallo Spirito. Non è cosa cosciente il più delle volte, ma è senz’altro cosa che avvolge tutto il nostro essere. Come, anche noi non lo sappiamo, sappiamo solo che è cosa vera.

            Oggi questo termine, questa realtà, la vogliamo cogliere legata al nome di Pane. Pane è l’ultimo nome di Dio sulla terra. Quel Dio incarnato che si è fatto Pane per ognuno di noi. Il Pane è vita. Sappiamo la drammaticità di vedere un essere vivente, magari un bambino, morire per mancanza di Pane.

Il pane è vita anche se sappiamo che non di solo pane vive l’uomo. Il primo Pane di Dio è la Parola. La prima Parola è appunto Abbà! Questa Parola fatta fiorire sulle nostre labbra dallo Spirito, ci fa esistere perché è ammissione della nostra realtà e identità di figli e di fratelli. Il Pane di vita, Parola del Padre fatta carne, è il grande dono. È Dio che si fa dono mostrandoci la nostra vera identità: di essere donatori di vita: tutto il resto viene dopo. Dio si fa dono, dona se stesso nel Figlio.

Anche il pane materiale, come ogni altra cosa necessaria per vivere, è mensa di questo dono. È sacramento di vita se preso come dono e donato nella condivisione. La Messa è continua, se la vita è vissuta come dono. Se il pane è vissuto come dono, diventa condivisione e dunque rendimento di grazie. Se il pane è preso e accumulato, diventa rapina e fa muffa. Il pane può diventare motivo di uccisione del Padre e negazione di ogni fraternità. Anche se il fare questo fa crescere la nostra popolarità e fa crescere la percentuale di voti, è omicidio di Dio e sadismo verso i fratelli.

            La vita è tale e tale si mantiene se è Eucaristia, vale a dire ringraziamento e partecipazione al corpo del Figlio dato per noi. Le carestie sono molte e diverse. La risposta a tali carestie non può che essere l’Eucaristia celebrata sul mondo nella condivisione di vita.

La grande carestia dei nostri tempi da occidentali, è la carestia dei sogni. È il prodotto del capitalismo individualistico e solitario dove ciò che vale è il mio bisogno e non il nostro sogno. È una forma di indigenza questo capitalismo del bisogno. La mancanza di pane dice fame. La mancanza di sogni spegne tutto in noi. Se la mancanza di pane ci fa sentire la fame, la mancanza di sogni non ci fa sentire più niente. Non ci accorgiamo che non sogniamo più.

Ne consegue un’abitudine ad un mondo impoverito di desideri. I desideri sono soffocati dai bisogni prima e dalle merci poi. Così si diventa talmente poveri da non accorgerci più della miseria in cui viviamo pur immersi in un mare di cose.

Come è possibile ritornare a sognare se la nostra vita non ci lascia alcuna modalità di essere e di vivere se non quella di addormentarci davanti alla TV accesa?

Non riusciamo più ad addormentarci con una preghiera sulle labbra. Non sappiamo più svegliarci con una poesia. Non ci capacitiamo nel lasciare che Gesù Pane di Parola svegli le nostre abitudini e riempia il nostro risveglio, non di cose, non di bisogni da soddisfare, ma di vita da accogliere e da condividere.

Che il nostro sonno possa ritornare ad essere abitato da sogni e da desideri, non da cose e da bisogni e da immagini che di vero hanno ben poco. Ritorniamo a fare del nostro sonno una Messa di Pane ricevuto e condiviso, di Pane da figli e da fratelli.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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