La salvezza, il nostro essere cristiani, non è data da quello che noi facciamo per Lui, ma da quanto Lui fa per noi: è determinata dal suo amore per noi. Quella salvezza e quell’amore di cui Dio per primo non ne può fare a meno. Se Dio negasse il suo amore per l’uomo, Lui che è amore sarebbe inutile, sarebbe un Dio morto, semplicemente non sarebbe. Dio ha bisogno dell’uomo, ha bisogno di salvarlo, è suo desiderio avvolgente poterlo amare. L’uomo non è un accidente per Dio, è la sua stessa sostanza, è la sua essenza.
Siamo nell’ultima cena e gli apostoli litigano su chi è il più grande. Gesù ci ricorda che lo schiavo non è più del suo padrone, come l’apostolo non è più grande di chi lo ha inviato. Ne consegue che se vogliamo essere grandi dobbiamo lavare i piedi non prima ai nostri, ma ai fratelli! Se noi cediamo alla tentazione di volere essere come i grandi del mondo, diventiamo semplicemente ridicoli. Facciamo tenerezza? Non lo so. So che il nostro bisogno di essere grandi, di avere un posto nella chiesa, di avere il monsignorato, di essere riconosciuti per quanto facciamo, è solo una schiavitù che ci trasciniamo nella nostra vita, come disumanizzazione della nostra stessa vita e, di conseguenza, come uccisione della nostra fede. Non siamo noi a salvarci, è Gesù che ci lava i piedi che ci salva. Le nostre ricerche di grandezza sono ricerche che uccidono la vita, che ci rendono figli del male.
Essere grandi è, come Gesù, lavare i piedi nell’eucaristia e celebrare l’eucaristia lavando i piedi. Il più grande è colui che sa servire, il più grande è l’umile. Gesù dando la sua vita per noi ha cambiato i nostri criteri di grandezza e di salvezza.
Chi non sa essere grande nel servire è uno scompensato da considerare con molta tenerezza, ma non certo da seguire e imitare, non certo da avere come competitore sul piano della vita.
La ricerca di prestigio, anche nella chiesa, è cosa ridicola da prendere in giro, non certo da prendere sul serio.
È cosa ridicola eppure molto umana con un risvolto disumanizzante non da poco. Quanti litigi per il nostro prestigio. E quando perdiamo prestigio e gradimento, mandiamo porta aerei nel Golfo Persico perché una guerra è sempre cosa buona per riportare il gradimento in alto, soprattutto quando una guerra è fatta da un gigante contro un piccoletto.
Pensiamo a tutte le liti che mettiamo in campo a causa del nostro prestigio. Nascono dal bisogno di stima, di stima che gli altri debbono avere per me. Se non hanno stima di me, sono un uomo morto!!!
Ma a ben vedere, che me ne faccio della stima degli altri? Come se la grandezza fosse data dal fatto che tutti mi votano e non dal mio servire il bene comune dell’umanità. Il bisogno morboso della stima degli altri non ci lascia liberi di ricercare il vero bene e ci porta a divenire schiavi dei favori e delle raccomandazioni e delle azioni perverse che dobbiamo mettere in campo per non perdere voti e benevolenza altrui.
Gesù vive altro e ci dice, coi fatti oltre che con la Parola, che la grandezza sta nel fatto che so lavare i piedi, come Lui! Questo nostro Dio che nessuno voterebbe, neppure gli apostoli, è questo. Noi non vogliamo questo Dio, ma Dio è questo: Padre che lava i piedi ai propri figli, dal primo all’ultimo, non facendo distinzione. Lava i piedi a Pietro, li lava a Giuda, li lava a tutti, perché in questo gesto sta il segreto dell’eucaristia che è salvezza per ogni uomo. Lavare i piedi diventa messa come messa diventa lavare i piedi.
L’invito è semplice: entrare in questo mistero che non è oscuro, è luminoso. Mistero che non capiamo ma che possiamo capire. Mistero non perché non fa vedere le cose ma perché ci invita a guardare oltre al nostro naso.
La vera grandezza è commisurata a quella cosa che chiamiamo amore. La vera grandezza! Come il vero amore è capacità di farsi piccoli. Il vero amore è quando ci abbassiamo all’altezza dei piccoli, dei nostri bimbi. Vera grandezza è quando facciamo gli asini per divertirli. Vera grandezza è quando giochiamo con loro perché il gioco è il modo di relazionarsi col mondo da parte dei bambini. E noi? E noi se non ritorneremo come bambini non entreremo nel Regno dei cieli. Oggi, non domani. I bambini si accorgono subito se li amiamo, se accettiamo di buon grado di stare con loro e di giocare con loro, se non lo facciamo per obbligo.
Sapendo queste cose, noi saremo beati se le faremo. Nel fare queste cose c’è beatitudine semplicemente perché questa è vita, vita vera.
Qui si gioca la vita vera, la vita del regno, la vera grandezza a cui siamo chiamati!
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
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Chi accoglie colui che manderò, accoglie me.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 13, 16-20
[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro: «In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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