p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 16 Luglio 2020

Viene il Signore, la Luce vera che illumina ogni uomo, e ci invita a venire a Lui. Viene la Luce che illumina la legge e ci invita a venire a lei. Viene la Luce che illumina il cammino dell’essere figli del Padre, perché piccoli, e ci invita a venire a lei. Viene la Luce, quella vera, che ci fa conoscere il Padre e ci invita a venire nella Trinità.

Venire: chiede un movimento, un movimento del cuore, innanzitutto; un movimento di interesse senza il quale il piede non si muove

La luce che viene ci mostra come la Legge, pur vera, non può dare la vita: la Legge ci fa vedere il cammino, le cose giuste, non ci rende capaci di amarle. È per questo che Gesù chiama la Legge giogo che affatica e opprime. Sia che noi siamo osservanti della Legge, sia che noi la trasgrediamo, siamo comunque schiavi della stessa. Certo l’apparenza è salva se noi non la trasgrediamo, ma il cuore rimane comunque traditore dell’Amore. Certo nessuno potrà venirci a dire nulla, se noi siamo osservanti delle norme della chiesa e del codice penale: ma ciò non significa che noi saremo amanti del Signore Gesù e che noi conosceremo il Padre.

La Luce che viene nel mondo, è una luce che senza alcun pudore e ritegno mette in evidenza il nostro adulterio nei confronti di Dio e di come questo adulterio, che noi dipingiamo come amore nei suoi confronti, diventi ogni giorno sempre più pesante e insopportabile. L’essere cristiani come osservanti di norme è solo un peso che non serve alla salvezza.

La salvezza ci è stata donata dalla Luce che viene nel mondo, non è una conquista nostra. Qui si rivela già il primo tradimento: credere di potere fare a meno di Dio salvandoci con le nostre buone azioni e con la rettitudine del nostro agire. Sembriamo delle vecchie incartapecorite che pensano di fare arrapare ancora qualcuno. Ne consegue che noi non siamo capaci di sentirci amati e di lasciarci amare. È vero: corriamo molto meno rischi. Ma la domanda è un’altra: la vita che viviamo vale la pena di essere vissuta in questo modo? Non è un peso inutile?

La Legge data a Mosè è per la vita, ma non dà la Vita: “In lui (Gesù) era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). La Legge è solo un pesante fardello che ordina, denuncia, giudica e condanna ciò che è contro di essa. L’amore, invece, è pieno compimento della Legge: dà quella giustizia superiore che introduce nel regno. L’unico dovere che noi abbiamo è quello di vivere il piacere di essere figli e fratelli.

La grazia, il giogo leggero dell’amore di Cristo, non abolisce il nostro agire, lo rende possibile. La grazia ci mette in piedi perché noi possiamo camminare, ci mette nelle condizioni di farlo, ci insegna a farlo, ci dà la spinta affettiva per farlo. Il Padre aspetta che noi gli corriamo incontro per accoglierci nelle sue braccia. A noi spetta l’ultima mossa, senza la quale tutto il resto risulta vano. Ed è una mossa che può nascere solo dal desiderio di questo abbraccio.

All’etica di norme e divieti succede quella della libertà, alla legge subentra il Vangelo.

Un botanico può fare una descrizione minuziosa delle leggi che governano lo sbocciare di un fiore. Tale minuziosa spiegazione non farà mai sbocciare nulla. La legge è questo botanico. Non esiste nessuna legge in grado di prescrivere e far eseguire ciò che una madre per amore fa per il figlio.

L’amore è libertà perché da esso germina tutto, non perché trasgredisce la legge. Chi ama è suddito non più della legge ma dell’amore, unico sovrano, legge a se stesso: questo è un giogo dolce e leggero. Il giogo dell’amore è l’unico che non opprime, anzi, che solleva, che ristora chi è stanco, che dà riposo a chi è affaticato, che può dare liberazione a chi è oppresso, anche perché l’amore o è scelto o non è.

L’invito del vangelo di oggi, è un invito a passare senza paura dalla lettera che uccide allo Spirito che dà vita, dalla legge alla libertà (2Cor 3, 1-18), dalla fatica al riposo. L’invito è quello di correre il rischio della libertà, di abbandonare le nostre false sicurezze, di incamminarci senza né bastone né bisaccia né sandali, ma con la fiducia in colui che ci chiama a venire a lui che viene.

Così saremo “capaci” di essere discepoli del Signore che non brontola perché la gente che lo segue è stanca ed oppressa; così non ci accontenteremo di prendercela con chi già non ce la fa di suo perché è colpa sua. Non ci accontenteremo di questo ma avremo il coraggio di uno scatto di amore, che poi è scatto di fede, per cogliere la fatica dell’altro e scegliere di portare con lui quel peso perché noi con lui possiamo ritornare a scegliere di “venire” dietro al Signore per potere scegliere il giogo dell’amore, quel giogo dolce e leggero.

Che la grazia del Signore ci accompagni con leggerezza nei passi delicati della nostra giornata.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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