p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 16 Aprile 2020

Gesù manifesta che “è meglio soffrire operando il bene che facendo il male” (1 Pt 3, 17), testimoniando questo fatto, con la sua esperienza ricordata dalle sue ferite mostrate. Di fronte al mostrarsi di Gesù c’è dubbio da parte dei discepoli. È più facile credere che Lui sia un fantasma piuttosto che credere che Lui sia risorto.

Perché salgono ragionamenti e dubbi dal vostro cuore, dice Gesù ai discepoli che non credono? Perché siete turbati? Sembra sia più facile una memoria di morte, piuttosto che una realtà di vita. La risurrezione è sorpresa incredibile. È la promessa della ri-creazione di cieli nuovi e di terra nuova. Tutto questo per tentare di rispondere alla domanda: ma chi è Gesù?

È pazzesco, ma le mani e i piedi, segnati dai chiodi, sono la testimonianza di chi Gesù è. Mani per guarire e piedi per camminare entrambi feriti, sono il memoriale, il ricordo vero, di chi Gesù è. Queste mani e questi piedi feriti sono la dimostrazione del fatto che il Risorto e il Crocifisso sono la stessa persona, sono lo stesso dono all’umanità. È la continuità storica tra la croce e la risurrezione. E i testimoni sono i piedi e le mani bucati, feriti. Giungere a vivere il modo di essere di Gesù è la vera scommessa vitale dell’umanità. È il bello e la fatica allo stesso tempo.

Il corpo che si presenta ai discepoli, quel corpo che dona pace, quel corpo che aveva camminato coi discepoli di Emmaus, è lo stesso corpo che è assente dal sepolcro. Lui non è dove loro lo hanno cercato. Lui c’è dove il Buon Pastore cerca loro: bellissimo perché vitale.

Piedi e mani feriti che sono stati i segni della vittoria della morte sulla vita, divengono i segni della sconfitta della morte. La passione, il Crocifisso, il Risorto, non sono cose da spiritualisti o cose spiritualoidi, sono cose concrete, sono cose di vita, sono cose vitali. Il corpo è molto importante per la vicenda Gesù che è Dio incarnato, Dio in mezzo a noi, Emanuele. Il suo corpo ferito, diventa testimone dell’amore di Dio per noi e della vittoria del bene sulla morte e sul male.

Le mani e i piedi, con il costato, sono i segni di Colui che è stato trafitto: ci fanno vedere il Signore. Non sono uno sterile ricordo di sofferenze dove si gioca a chi ne ha avute di più. Sono invece la manifestazione dell’identità del Signore Gesù Cristo.

Per questo siamo chiamati a toccare e vedere il Signore, come lo hanno toccato e visto i primi discepoli. Il nostro palpare e vedere deve essere più profondo, cioè più vero e quindi non meno gioioso. È il ritrovamento del gusto interiore con pace e sbigottimento, che diventa memoriale, eucaristia, un toccare e un vedere oltre ogni apparenza, ma incarnato nella verità della vita stessa.

Non è autoconvincimento quanto invece ascolto della Parola, quella scritta come quella che aleggia su di noi ogni giorno nella realtà della creazione. È dolce come il miele questo ascolto. È comunione eucaristica che soddisfa ogni gusto. È l’apice dell’attività di Gesù. Luca presenta gran parte dell’attività di Gesù a tavola e in cammino. Prende il cibo con le mani e lo porta, camminando, ai suoi fratelli. Così il Risorto mangia e cammina esprimendo tutta la sua corporeità e tutta la sua verità di vita.

Il corpo prende con le mani ferite, il corpo mangia e si fa mangiare nelle sue ferite, il corpo coi suoi piedi bucati danza la danza della vita in punta di piedi, invitando ogni uomo a questa eucaristia danzante, danza ferita, danza che ci dice l’Io Sono in mezzo a noi e con noi.

Fonte – Scuola Apostolica


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