La giustizia è una cosa buona, ma la giustizia non potrà mai risolvere i problemi del nostro mondo. Se la giustizia poi è creata da politici e gestita da giudici, con tutti i pro e i contro del caso, la giustizia ci permette di andare ben poco lontano. Se poi alla base della giustizia mettiamo ad esempio la proprietà privata anziché la vita umana, ogni legge sulla legittima difesa diventa legittimazione di travalicare ogni giustizia perché ciò che vale è che io riceva giustizia magari giustiziando l’altro. E non è un problema di difendermi, è un problema della legge del più forte, della legge del taglione: ritorniamo all’Antico Testamento. Indietro di almeno 3.000 anni.
Gesù ci chiede di passare, non dandolo per scontato, ad un livello morale più alto. Il livello morale della giustizia è già un buon livello, se di vera giustizia si tratta e non della solita giustizia dove il più forte o il più ricco ha sempre ragione. Ma il livello morale ed etico a cui Gesù ci vuole portare è il livello morale dell’amore. Ad un’azione malvagia la risposta malvagia non fa che alimentare la malvagità nel mondo. Su questo non ci piove. Se tu getti legna sul fuoco il fuoco si alimenta.
Ma Gesù ci spinge oltre e ci porta a guardare il cuore della questione. Il cuore è questo: non è il vero problema l’azione dell’uomo ma il cuore dell’uomo che muove l’azione è il vero problema. È dal cuore che escono cose buone o cose brutte. È l’interiorità che dobbiamo formare ed è all’interiorità che dobbiamo porre attenzione.
Non ci interessa neppure un codice di leggi bellissime ma disumane e impossibili. Il decalogo donato da Dio sul Sinai a Mosè, viene ora rivisitato alla luce delle beatitudini. Rivisitare il decalogo a partire dalle beatitudini significa mettere al centro delle nostre relazioni la vita del Padre e la chiamata ad essere fratelli. Non quei fratelli che passano la loro esistenza a litigare fra di loro per un pezzo di eredità, maledizione su di noi. Ma i fratelli che vivono come tali, come figli. Rivisitare le nostre relazioni a partire da un cuore buono, dal cuore del Figlio, significa mettere al centro delle nostre relazioni una solo scelta: quella di dare la vita gli uni per gli altri. Non mi interessa più di tanto se gli altri ne approfittano, è cosa scontata che questo avvenga. Mi interessa invece mettere al centro la mia/nostra libertà di scegliere e di fare il bene, di essere bene. Tutto il resto, giustizia umana compresa, giustizia dei comandamenti compresa, passa in secondo piano, non può essere lei il centro della mia esistenza e delle mie scelte. Sempre che io non voglia condannarmi alla infelicità e mi accontenti di abbruttire la vita pur di salvaguardare i miei interessi.
Salvaguardare i miei interessi, prima i miei interessi ci insegna il mondo anglosassone e americano, è la morte del mondo. Ciò che faranno oggi i giovani del mondo di chiedere attenzione da subito alla salvaguardia del creato, è cosa stupenda. Non giudico quanto ne siano convinti, ma è senz’altro un bel messaggio di vita a cui, speriamo tutti, possa seguire vita.
Se questo è vero, e credo lo sia molto di più che la mania giustizialista che prende noi quando non vediamo la trave nel nostro occhio scorgendo solo la pagliuzza nell’occhio del fratello, allora l’ira diventa omicidio del cuore, un moto interiore contro l’altro che, ne sono convinto fin dalle viscere, è senz’altro contro di me e le sta pensando tutte contro di me. L’altro è il nemico: a pensare male ci si indovina sempre. Da lui io mi difendo, dimentico che in tal modo io nego la mia umanità e combatto contro me stesso, contro la mia vita bella e vera. Negando in tal modo la fraternità io uccido la mia identità di figlio. Per questo l’ira non compie la giustizia ma diventa ingiustizia.
Lo stesso lo si può dire del disprezzo del ritenere l’altro uno stupido: il disprezzo interiore diventa sostegno e motivo per quello esteriore. Lo sbocco naturale è la guerra che è sempre preceduta da una campagna denigratoria nei confronti dell’altro. Quando l’altro è ridotto a non uomo dalle nostre maldicenze, allora ho tutto il diritto di ucciderlo. Mentre la stima dell’altro è basata su quanto siamo chiamati ad essere in Cristo che ha dato la vita per noi.
Così quando l’altro è ritenuto empio portiamo a compimento la nostra azione nefasta e perversa in nome della giustizia. Se l’altro è empio significa che è peccatore e che è contro Dio, contro di lui ogni azione è giustificata. Demonizzare l’altro è il compimento di ogni opera di inimicizia che giustifica ogni azione di giustizia che è negazione della giustizia di amore del Padre. Così noi non facciamo altro che fare diventare bene l’eliminazione dell’altro. Il male lo abbiamo fatto diventare bene e il bene da volere all’altro è diventato male, minchioneria, farsi prendere per il naso. Non possiamo permettere che la gente si approfitti della nostra bontà, sempre che di bontà si tratti, sembra essere il grande messaggio che andiamo a portare alle genti.
In conclusione possiamo dire che non considerare l’altro come fratello, cosa che è giusta secondo le nostre leggi umane, significa sacrificare la propria vita di figlio buttando la propria vita nelle varie discariche che pullulano sul nostro mondo.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
Vangelo del giorno:
Mt 5, 20-26
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.