L’unico segno che ci viene donato, a noi schiavi dei segni e incapaci di leggere i segni, è il segno di Giona. I niniviti al segno di Giona si sono convertiti, noi no. Non ci convertiamo né al segno di Giona né a quello di Cristo né a quella del Padre/Madre. Siamo invasi dallo spirito muto, per questo continuiamo a cercare un segno, un miracolo, continuiamo a cercare di vedere l’invisibile, mentre la vita che è il vero dono e il vero miracolo, l’invisibile non visto ma sentito aleggiare nell’aria, è la vera sostanza della vita che noi ci lasciamo sfuggire alla ricerca come siamo del superficiale che ci tocca gli occhi.
Beato chi ascolta, dice Gesù aggiungendo subito dopo “questa generazione è una generazione malvagia” perchè alla ricerca di segni. È come se un padre e una madre avessero senso per i doni che ci fanno e non per la vita che ci hanno dato e che continuano a darci anche dopo morti. Purtroppo la nostra generazione malvagia è schiava di questo e impoverisce talmente la sua relazione genitoriale e filiale da fare dipendere tutto dalle cose che diamo ai figli, dalle cose che riceviamo come figli. Tutto è dovuto, troppo è dovuto, e i figli non crescono più. Non sanno più cosa sia l’autonomia, tutto è pensato come fare quello che mi salta in testa, la fatica che è essenziale alla maturazione è esiliata dalle nostre giornate, il dolore, che è parte della vita, è aborrito. Pensiamo a come facciamo a decidere di mettere al mondo un figlio: se riesco ad assicurargli un futuro. Quando diciamo questo pensiamo a cose da dargli, a una casa, ad una scuola, a potergli dare dell’agio e delle cose. Questo è un tarlo di dubbio sulla nostra capacità generativa e di amore che va ad incarnarsi nelle cose dimentico del cuore che può crescere nel dono. Segni dell’amore sono le cose e ci dimentichiamo dell’amore che le cose segnalano. Perdiamo l’essenziale che è invisibile agli occhi in cambio del superficiale che noi vediamo ma che non potrà mai scaldare il cuore.
La ricerca di segni e di miracoli, la ricerca di conferme su Dio se le cose vanno bene, sono idolatria non figliolanza che uccide il nostro rapporto non solo con Dio ma anche col mondo, con gli altri, con la natura. Diventiamo assassini per natura perdendo l’essenza dell’essere generati per generare.
Viviamo come spiriti muti che chiedono cose e non sanno vedere i segni dei tempi che sono segni di presenza. Siamo una generazione maledetta. I morti sono i migliori, le cose morte non possono dare fastidio: inneggiamo a loro e facciamo delle belle omelie funebri. Ma quando sono vivi, allora no, allora non sono segni di presenza di vita del Padre ma cose da combattere e da demolire. È come se chiedessimo a Dio di farsi vivo quando noi viviamo della vita del Padre, quel Padre che non sappiamo più conoscere e riconoscere. Generazione maledetta perché vive delle cose del Padre e non vive più della vita sua. Passiamo le nostre giornate e le nostre notti a chiedere che si faccia vivo con dei segni, quando noi viviamo della sua vita. Ma cosa vuoi che si faccia vivo sto Dio! Apri gli occhi, guarda col cuore, cogli la vita che ti circonda e ti avvolge e che serpeggia in mezzo ai problemi veri o fittizi che siano.
Se il Padre intervenisse come vogliamo noi sarebbe un idolo, un dio dell’Olimpo, non più Padre. Grazie a Dio non è un Padre bastardo, per questo si rifiuta di agire come noi pretenderemmo. Se facesse come noi vogliamo dovrebbe annullare la nostra libertà, la nostra autonomia, la nostra capacità di vivere e di affrontare la vita per quello che è: non esisteremmo più come figli, perché il figlio o è libero o non è!
Il nostro rinchiuderci nelle nostre cosette senza capire ciò e chi siamo, è la nostra maledizione che noi innalziamo a vera realtà, a motivo di vita. E ci svuotiamo di vita. Per questo domandiamo segni e miracoli a Dio o all’ultima Madonna apparsa, dicendo che bello, che siamo in tanti, che tutti pregano, che tanti si confessano, ma siamo maledetti proprio a causa di ciò che chiamiamo Dio negando a Lui la sua essenza di Paternità e di Maternità. È la nostra maledizione che ci porta a morire come schiavi, schiavi di segni, obbligati a credere perché abbiamo ricevuto un regalo, perdendo sempre più la nostra relazione di figli.
Forse il futuro sarà bello; il passato era certamente migliore perché ciò che è morto è sempre buono, non nuoce più. Passiamo la nostra vita di fede a pensare a come eravamo tanti, a come le cose andavano bene una volta, a come moglie e buoi dei paesi tuoi e non dall’estero fosse la cosa migliore e ci accechiamo, ci rendiamo incapaci di vedere non solo il passato ma anche l’oggi. Viviamo di nostalgia anziché vivere l’oggi così come è: questa è la nostra malvagità! Malvagi perché alla ricerca di segni di Dio anziché affinare il nostro sentire per cogliere la presenza del Padre. Così possiamo vivere l’oggi anziché negarlo con sterili nostalgie e con attaccamenti morbosi a segni e miracoli.
Il segno è qualcosa che ti indica la realtà, sono i segni dei tempi che mi dicono certe presenze al di là del fatto che le cose vadano bene o vadano male. Ma il segno non è mai la realtà. Il regalo non è né il Papà né la Mamma: guai quando si confonde il regalo con l’affetto, è un disastro per il piccolo. La nostra cecità, il nostro essere sordi e muti, continua a portarci a guardare il dito, che è il segno, che ci indica la luna dimentichi della luna.
Il bello e il buono che ogni giorno noi viviamo e incontriamo è cosa da valorizzare e da benedire, lasciandoci benedire: la sostanza della presenza di Dio nel creato è una benedizione. Vivere il creato come cosa a noi regalata e non più donata, della quale possiamo fare ciò che vogliamo anziché gustarla come vita donata, è una maledizione che uccide e che porta morte fino a distruggere il creato stesso.
Tutto è segno di amore, ma all’amore e all’Amante dobbiamo guardare grazie al segno. Se ci fermiamo al segno e lo scambiamo per l’essenziale siamo maledetti. Anche dove c’è il male quello diventa segno di un amore più grande, quello del perdono e della misericordia del Padre/Madre che è amore infinito per noi.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore