p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 14 Marzo 2023

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Il perdono è un atteggiamento essenziale della vita cristiana, è una concretizzazione della carità cristiana: è un elemento essenziale del nostro vivere e della nostra convivenza. Allo stesso tempo è l’atteggiamento meno creduto, o meglio meno ritenuto possibile da vivere nel nostro quotidiano, il più deriso, il meno amato, non capito.

Il perdono non è dimenticare, non è chiedere riparazione per il danno subito, non è un far finta che non sia successo nulla. Perdono è, secondo il vangelo di oggi, condonare un debito qualsiasi esso sia. Non è questione di grandezza del debito e non è questione di quante volte questo debito viene contratto: il perdono non ha limiti di grandezza, di tempo e di frequenza. Il perdono è innanzitutto un dono di Dio: è lui che vuole amarci nel perdono. Il perdono che lui esprime per noi, lo ha espresso sulla Croce. In Cristo i nostri peccati sono già tutti perdonati nel Cristo Crocifisso.

Il primo gesto che noi siamo chiamati a compiere è quello di accoglienza di questo perdono. L’accoglienza del perdono, che passa attraverso la richiesta di perdono, è un passo essenziale per poter vivere il nostro cristianesimo. Noi sappiamo che lo strumento principe per chiedere e ricevere il perdono è il sacramento della Riconciliazione, ma senz’altro questo non è l’unico. La preghiera e la carità, che copre una moltitudine di peccati, sono altri due strumenti per aprirci all’accoglienza del perdono. Non sono strumenti per comprarci il perdono che c’è già ed è gratis, sono strumenti per aprire il cuore al perdono.

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Aprire il cuore al perdono significa riconoscerci bisognosi di perdono, significa avere un rapporto profondo col nostro io, un rapporto che ci permette di vedere le nostre mancanze, di verbalizzarle, di offrirle a Dio perché lui le purifichi. Chi si sente a posto non chiederà mai perdono. Chi si sente imperdonabile non chiederà mai perdono.

Avere un rapporto sereno con le nostre colpe ci permette di aprirci al perdono. Questo rapporto sereno non è una questione di condizionamento psicologico, ma nasce da una certezza: Dio mi ama e mi attende per abbracciarmi nell’abbraccio benedicente della sua misericordia. La cosa più grande che il Padre può sentire da noi è proprio questa: perdonami! Questo è il primo passo per potere imparare a perdonare. È il primo passo, non è l’unico. Il servo perdonato, nella parabola, non sa perdonare a sua volta.

Noi che tante volte abbiamo ricevuto il perdono, altrettante volte non abbiamo saputo perdonare. Forse l’ammettere questa nostra incapacità a perdonare e chiedere perdono per questa nostra limitatezza è un altro elemento che ci può portare ancora più vicini al cuore di Dio, al suo perdono e a renderci capaci di perdono.

Rimane comunque essenziale che a noi il perdono interessi, interessi la nostra vita, sia ritenuto qualcosa di essenziale e non di marginale per la nostra esistenza.

Un altro passo essenziale, nel perdono, è imparare a perdonarci. Chi sa perdonarsi, chi sa accogliere il perdono di Dio accettando il suo essere peccatore bisognoso di perdono, può imparare a perdonare l’altro. Il trattarmi con misericordia è via per poter trattare con misericordia l’altro. Lo svalutarmi, l’irrigidirmi, il non amarmi, sono tutti atteggiamenti che mi portano a svalutare l’altro, ad irrigidirmi con lui, a non amarlo, a non perdonarlo.

Perdono non è dimenticare un torto, non è neppure cancellare la lavagna, né tanto meno è ritornare al punto di partenza.  Perdono è ripartire da un gradino più alto, il gradino della fiducia in Dio, in noi stessi e nell’altro.

La giustizia del Figlio, non è quella che ristabilisce la parità, secondo la regola: chi sbaglia paga. La giustizia del Figlio è la giustizia di chi ama che all’avversario deve la riconciliazione, al piccolo l’accoglienza, allo smarrito la ricerca, al colpevole la correzione, al debitore il condono. Alla giustizia della legge che uccide, succede quella dello Spirito che dà vita.

Le colpe altrui sono per me occasione di perdonare come io sono perdonato: mi fanno figlio perfetto del Padre (5, 43-48).

Potremmo dire: Meno male che c’è il male! Il male che faccio, infatti, è l’occasione che, facendomi sentire perdonato di più, mi farà amare di più il Signore! (Lc 7, 42ss); il male che subisco è, a sua volta, l’opportunità di perdonare e amare di più i fratelli, diventando sempre più simile al Signore. Il male mio diventa perdono di Dio, quello dell’altro perdono mio che mi fa come Dio! Il perdono non nega la realtà del male, lo suppone. Potremmo dire che un amore che non perdona, non è amore!

Chiediamo quest’oggi al Signore la grazia di cominciare a mettere il naso dentro questo stanzino ben richiuso che è la stanza del perdono. Chiediamo di non avere paura e di cominciare a guardarci dentro.

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