Il vangelo di Giovanni se lo leggiamo con superficialità, stanca e ci dà l’impressione di una ripetizione inutile: quello che ci ripete lo abbiamo già capito. Rimanete, dimorate, osservate la mia parola, se mi amate: sono affermazioni ripetute all’infinito, in questo capitolo di Giovanni. Ma se abbiamo un po’ di orecchio fine e di occhio attento e ci poniamo in un atteggiamento di contemplazione, cogliamo ben altro. Giovanni è un’aquila che a cerchi concentrici vola sempre più in alto. Sembra sempre la stessa giravolta, la stessa cosa, può essere vero. Ma è la stessa cosa vista e vissuta da altezze diverse, con panorami diversi, con orizzonti sempre più ampi. Più si sale e più la vista d’aquila diventa cosa predominante, diventa cosa che ci fa cogliere dei particolari nell’insieme della vita, che diversamente non coglieremmo mai. La vista d’aquila è un udito e un vedere che ci fa cogliere le cose contemplandole e amandole, perché l’essenziale è invisibile agli occhi, lo si coglie solo col cuore e con la partecipazione di tutti noi stessi.
Quest’oggi a me pare di potere cogliere nel dimorare in Lui, nel rimanere nella sua vita, una dinamica profondamente umana e divina allo stesso tempo. È una dinamica di un bimbo che sta nelle braccia della madre e che, allo stesso tempo, sente la madre, ascolta il suo cuore, si adagia sul suo seno, e comincia ad elaborare una vita nuova che nasce da lì ma che andrà oltre.
Essere tralci nella vite, vale a dire dimorare in Lui, significa proprio questo: vivere nel suo abbraccio e cominciare a scalciare mentre viviamo di questo abbraccio che inizia quando ancora siamo nell’utero materno di Dio.
Facciamo fatica a cogliere questa dinamica perché noi siamo o passivi oppure attivi. Le cose o le faccio io oppure che le facciano gli altri, Dio compreso. Chi fa da sé fa per tre! Mentre la dinamica umana e umanizzante che Giovanni oggi ci suggerisce con la metafora della vigna, ci dice che non è così. Questo modo di agire sembra semplificante la vita mentre in realtà la complica ma, soprattutto, la disumanizza. Essere in relazione significa giocarsi con atteggiamenti passivi e atteggiamenti attivi. C’è un movimento che ci ricorda il respiro dove si immette aria che viene da fuori e si espira l’aria che ha fatto il suo dovere in noi. Noi respiriamo ma è l’aria che dona vita. Noi siamo tralci che portano frutto ma perché legati intimamente alla vigna che ci dona energia e linfa vitale che diventa uva.
È la dinamica dell’amore, è la dinamica della vita di Dio in noi, è la dinamica di ogni esistenza che vale la pena di vivere.
Un tralcio se unito alla vite è vivo e produce il frutto della vite. Se non è unito alla vite si secca, è morto e non può produrre frutto. Se noi siamo uniti alla Vite Gesù, questo significa amarlo nient’altro, noi diventiamo figli e sappiamo in tal modo vivere da fratelli. Questa dinamica non può essere frutto di uno sforzo morale, è dono che ci raggiunge ed è apertura libera a questo dono. Rimanendo uniti a questo amore noi portiamo frutto. Il frutto non è la premessa della vita; il frutto non è primario rispetto alla pianta e alla vigna: viene dopo. Prima c’è ben altro, ma se questo ben altro, che è l’amore vitalizzante e rivitalizzante del padre in noi, che è la pianta prima che i rami, non è vissuto non ci può essere frutto. Il frutto è la logica conseguenza della bellezza della vita del tronco che dà vita ai rami e, grazie ad essi, ai frutti.
In questa dinamica il dimorare, il rimanere, è un vivere nella morte di Lui che non è morte ma è un sapere donare la vita anche morendo.
Lasciandoci amare da Cristo, accogliendo il suo amore, noi portiamo il suo stesso frutto che è vivere la cosa più bella che possiamo fare: dare la vita per i propri amici. Lasciandoci amare noi diveniamo come Lui: gente che riscopre la bellezza del dono non come cosa da super eroi, ma come cosa piccola che splende nel nostro quotidiano. Più abbiamo il coraggio di girare in tondo su questa realtà innalzandoci sempre più in alto nella contemplazione, più la nostra vista si affinerà come vista d’aquila. Giungeremo a vedere e a contemplare cose mai viste e cose inimmaginabili, penetrando le nuvole con lo sguardo del Padre, ascoltando il battito del cuore amante di Cristo trafitto, lasciandoci portare da quelle correnti calde ascensionali, correnti di amore di Spirito Santo che ci portano a godere della vita vista da tutt’altro punto di vista. Non più le nostre preoccupazioni vere o indotte, ma il nostro desiderio che più va su e più ci mostra e ci fa gustare il senso della vita.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
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Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15, 9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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