Il lebbroso incute paura. Lui infatti può contagiare gli altri come possiamo contagiarci noi col virus. A causa di ciò il lebbroso viene abbandonato dai familiari ed evitato da tutti, nel suo stato viene emarginato. Anche il pubblico non lo vuole per questo lo costringe a vivere lontano dai centri abitati. È il risultato non tanto di una malattia quanto invece dalla paura con cui trattiamo la stessa malattia.
Vivendo distante da chiunque, per bene che andasse il lebbroso riceveva cibo o vestiti rimanendo comunque isolato, fuori da ogni contatto, fuori da ogni affetto, fuori da ogni relazione. Il limite diventa motivo di distacco e di negazione di ogni umanità, di ogni relazione, di ogni possibilità di amore.
Meglio evitare ciò che non è perfetto: se uno è malato o monco è giusto che venga isolato o espulso. Lo stesso si dica di chi a causa di ciò, viene eliminato: il togliere la vita a qualcuno è cosa continuamente giustificata rispondendo in modo malsano ad una ingiustizia che in nome di ciò che bello non sembra essere, nega anche ogni possibilità di bontà e dunque di amore.
Estromettere ciò che non è perfetto e ciò che non è bello; chiedere di divenire estranei evitando la verità della realtà, perché ogni contatto è ritenuto tabù; allontanare dalla società, dal lavoro, dalla chiesa uno che è messo male di salute è ritenerlo per questo colpevole.
La malattia, di qualsiasi genere sia morale come fisica, è motivo giustificato per la squalificazione sociale e personale. Ne consegue il caos nella vita dell’uomo.
Ma Gesù, che fa? Ci sta ed entra in relazione con colui che era isolato, indurito, che viveva con sfiducia la sua relazione con gli altri. Con Gesù questo lebbroso manifesta il suo coraggio e la sua volontà di guarire, la sua sete di vita. Supera le barriere che il mondo ha posto con lui e si fa vicino a Gesù dicendogli: “Se vuoi puoi purificarmi”.
In fondo, non chiedendo guarigione fisica, ma purificazione, cerca la relazione perché nella relazione emerge la vera guarigione. Nella relazione del lebbroso con Gesù, come per noi con chiunque, la vita è purificata nella relazione.
Nella relazione! Avviene che è il malato che opera nella persona di Gesù. Gesù vive la relazione come compassione. Compassione perché partecipa, non giudica; accoglie, non esclude. Per questo Gesù accetta colui che tutti evitano; san Francesco bacia il lebbroso del lebbrosario della sua terra. Questo ci dice che l’impurità e la sporcizia più grande sono quelle di chi rifiuta di sporcarsi le mani con gli altri.
Gesù lo tocca, tocca l’emarginato, manifestando la sua vicinanza. Lo tocca rischiando il contagio, contaminandosi diventa impuro per il rito, si esclude da ogni gesto di culto.
Il contagio è linguaggio affettivo che parla di presenza amica. Linguaggio colto da quella pelle lebbrosa.
Gesù lo tocca, questo lebbroso. Questo significa che lui può riprendere contatto con se stesso e con gli altri. L’isolamento che ha vissuto non è cosa disperante e senza speranza.
La compassione è rifiuto di abbandonare l’altro alla solitudine della sua sofferenza. La compassione è dire che la sofferenza non ha senso. La vera sofferenza che ha senso è quella che io vivo per ridurre, con la relazione e il toccarsi, la sofferenza dell’altro. Semplicemente perché non sei più solo! La compassione ha questo senso e significato, quello di soffrire con l’altro: è la cosa che ha più senso nel mondo.
Gesù che vive questa dimensione di compassione toccando il lebbroso si trova a vivere la stessa situazione del lebbroso, anche lui sarà escluso. Ciò che importa è la compassione vissuta e toccata, non l’illusione del non essere esclusi dalla ritualità delle nostre società e religioni. Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, per questo se ne stava fuori, in luoghi deserti.
Gesù guarisce vivendo il prezzo di una perdita, assumendo la situazione del lebbroso paga: è la dimensione della relazione vera che è amore e gratuità.
Gesù prende la sofferenza dell’altro su di sé e si manifesta per quello che è: il Servo che assume e porta le nostre infermità uscendo dal tranello di vivere l’esclusione dell’altro a causa delle sue negatività. Meglio vivere la bellezza del bene amando le realtà che viviamo, piuttosto che negarla usando regole e leggi e motivazioni che sanno di tutto ma non di umanità, di gente che riconosce il proprio essere figli di Dio.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM