Per noi che siamo sempre alla ricerca di situazioni nuove e migliorative, realtà dove le cose vadano bene e vadano meglio, questo brano di vangelo è annunciato, oggi.
Noi, e l’umanità con noi, siamo i lebbrosi che prendono coscienza della propria lebbra. Noi che sembriamo più portati alla morte che alla vita. Noi che sembriamo incapaci di fare il cammino della vita, siamo chiamati ad incontrare il Signore Gesù, oggi. Incontrare il Signore Gesù non significa andare da un’altra parte, significa vivere con uno spirito nuovo la realtà che ci è data di vivere.
I lebbrosi, in quanto lebbrosi, vanno incontro al Signore con la coscienza della loro lebbra: non la negano e neppure la esaltano. Anzi, gli vanno incontro e si fermano a distanza, come era secondo la legge. Non si possono avvicinare e il loro stare a distanza diventa il loro modo di essere e di esistere. Fermarsi a distanza e dire ad alta voce il loro desiderio. Un desiderio che nasce dalla coscienza di ciò che loro sono: lebbrosi. Si fermano a distanza perché lebbrosi per dire ad alta voce la loro preghiera: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! Di me!
Questa gente, cioè noi, incapace di fare il cammino della vita è invitata a fare del cammino la loro vita. Gesù non dice nulla che predìca la loro guarigione. Gesù li invita a vivere la loro vita così come è. Camminate come siete. Andate a presentarvi dai sacerdoti. Vivete la vostra situazione come viventi e non più come morti. Salite al tempio, cosa proibita per dei lebbrosi, camminando verso là troverete il senso di ciò che siete già da qua. Camminate così come siete è un invito a vivere la vita così come è. Non è sano negare la nostra realtà. Negare la nostra realtà è cosa da lebbrosi. Vivere la nostra realtà così come è e così come si presenta, è umanizzare la nostra vita vivendola con fede. È bello che la nostra vita si presenti bene, ma è ancora più bello che noi la nostra vita la viviamo a partire da quello che siamo e da quello che stiamo vivendo. Ciò che fa la differenza è come ci incamminiamo, con quale cuore ci incamminiamo, con quale vita noi ci mettiamo in moto.
Ai lebbrosi Gesù ordina di camminare. Affaticati, magari zoppi, magari mancanti di qualche dita dei piedi, magari già un po’ ciechi accecati dalla loro chiusura o perdita degli occhi, a questa gente Gesù ordina di camminare. Sembra cosa strana ma, in realtà, è cosa sana perché partendo dalla tua lebbra tu puoi fare il passo buono verso il tempio. La guarigione avviene nel cammino non nello stare fermi in attesa che le cose cambino.
Mentre andavano verso il tempio furono purificati, non rimanendo lontani o rimanendo fermi a causa della loro situazione. Gesù sta camminando verso Gerusalemme e chiede a questi dieci lebbrosi di precederlo sulla via verso la città santa. È il suo corpo di banda, è il suo corteo trionfale: dieci lebbrosi che camminano innanzi a Lui. Forse proprio lì troviamo un po’ del segreto della vita: loro camminano verso Gerusalemme per obbedire a quanto Gesù gli ha detto: fanno dono della loro malattia a Colui a cui hanno chiesto pietà. Lui cammina verso Gerusalemme per donare la propria vita, loro donano il loro cammino da malati a Colui che chiede loro di fare questo passo che sa un po’ di richiesta da malato.
Eppure nel dono, nel cammino, nel dare a partire da quello che loro sono, scaturisce la guarigione. Furono purificati mentre essi andavano. È il tempo della messa, è il tempo di fare eucaristia. Camminando e gridando il proprio grazie, camminando e gettandosi ai piedi di Colui che lo aveva guarito, lo straniero, il pagano, colui che non era ritenuto uomo di fede, celebra l’eucaristia. Il Samaritano prende coscienza del dono ricevuto e grida il suo grazie. La sua guarigione diventa dono, diventa cosa di tutti, diventa motivo di condivisione, di spezzare il pane. Lui ringrazia per tutti. Noi fedeli magari malediamo la presenza di stranieri, lo straniero diventa motivo di grazie a nome di tutti. Dove sono gli altri? Solo questo straniero è tornato a rendere grazie, a celebrare messa sulla strada con me?
Questo straniero, questo non battezzato, è tornato a rendere grazie. Mentre era lebbroso stava insieme agli ebrei, gente di fede. Ora che è guarito se ne torna solo a rendere grazie. Non si perde in gesti religiosi inutili e sterili, vive la fede ricevuta gridando il suo grazie al Padre.
Chi meglio di lui può diventare missionario? Nessuno! Lui, malato guarito, lui riconoscente per quanto è avvenuto, viene mandato, viene inviato a tutti perché anche gli altri, grazie alla sua testimonianza, possano fare altrettanto. La comunione che nascerà con lui e grazie a lui, diventerà eucaristia per tutti. Coscienti che ciò che fa la differenza è la disponibilità all’incontro che nasce non dalla fuga da ciò che siamo e viviamo, ma nel vivere in interezza quello che la vita ci riserva. Così ogni cosa diventa eucaristia e occasione di vita, non più di morte e di isolamento.
Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.
Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGIlc
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17, 11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Parola del Signore.