A noi sembra la cosa più naturale del mondo rispondere al male con il male. Rispondere al male col male, però, non fa altro che accrescere il male stesso. Non ci pacifica e non pacifica.
Quando noi siamo incerti e abbiamo paura di perderci, abbiamo bisogno di rispondere al male col male. Rispondere al male col male è una via per riaffermare noi stessi, per dimostrarci e dimostrare che noi ci siamo. È un ribadire i nostri diritti e il nostro potere. È un ristabilire gli equilibri di forza.
Il Signore Gesù di fronte alla prospettiva della croce prega e ci invita a pregare. Ci invita a chiedere al Padre nostro un dono. Ci invita a metterci nella prospettiva cristiana che è data dalla coscienza che non siamo noi a fare qualcosa per Dio, ma che è Lui che fa tutto per noi. Chiedere qualcosa di utile alla nostra esistenza, chiedere non rivolgendoci ad una macchinetta dispensa doni. Chiedere la capacità di rispondere al male col bene. Chiedere la capacità di non sovrapporre un pensiero all’altro. Chiedere il dono di non lasciarci travolgere dalle nostre emozioni reattive negative. Chiedere il dono della vera gioia, dono del Risorto, che nasce dalla grazia di imparare a rispondere al male col bene.
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È l’unica via perché il mondo non sia invaso dal male in tutti i meandri della creazione. Rispondere al male col bene, è un atto di coraggio che ci può venire solo dal Padre. Rispondere al male col bene è dono del Risorto. Rispondere al male col bene è non essere dipendenti dal male che pervade la nostra esistenza. Rispondere al male col bene è non lasciarci prevaricare dal negativo che c’è in noi.
Il dono dello Spirito che ci conduce alla verità tutta intera dell’incarnazione di Gesù in mezzo a noi, è il dono di gioia e di speranza di cui spesso siamo privi.
Non possiamo preoccuparci dell’ostilità e della persecuzione, queste ci deviano dal cammino della vita. La certezza che l’ultima parola è quella dell’amore di Dio e nostra, è ciò che ci permette di credere che il non rispondere al male col male sia la via vera della vita.
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È credere che la croce non sia una sconfitta ma sia la via scelta da Dio per manifestare il suo dono agli uomini. È credere che la via della gioia passa di lì, perché lì si celebra l’inno alla bellezza del dono di sé che raggiunge altezze di perdono e di non rispondere al male col male.
Lì passa la fedeltà del Signore, di lì passa la fedeltà del discepolo. Fedeltà a se stesso, fedeltà a Dio, fedeltà all’umanità. Fedeltà che non cede di fronte agli equivoci della storia e della forza del peccato.
Lui ha vinto la morte e noi siamo con Lui e per Lui. Lui è con noi e per noi. Lui parte ma ritorna. Noi siamo nella tristezza per la sua partenza ma gioiamo nell’attesa del suo ritorno. La fatica del quotidiano non diventa per noi motivo di morte e di tristezza, ma luogo di dono. Un dono che non può mai dipendere dall’accoglienza degli altri, un dono che è bello semplicemente perché è tale, al di là di ogni risultato atteso.
Credo sia essenziale, per seguire il Signore su questa via, coltivare l’apertura del cuore. Spesso noi perdiamo fiducia in questa possibilità, in questo dono, in questa capacità. Abbiamo bisogno di fermarci, abbiamo bisogno di rifiatare, abbiamo bisogno di ricentrarci e di scegliere il bene non lasciandoci travolgere dal male.
Così ci auguriamo che questa giornata possa esserci lieve non tanto perché non vi saranno problemi, quanto invece perché noi possiamo essere positivi nello scegliere il bene che ci cambia la vita, e la cambia ai nostri fratelli. Quella vita che cambia la storia e crea una comunione di bene, che è la comunione dei santi, che scaccia le tenebre e fa piovere luce sul mondo.
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