HomeSolennitàp. Giovanni Nicoli - Commento al Vangelo del 1 Novembre 2024

p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 1 Novembre 2024

Venerdì 1 Novembre 2024 - Tutti i Santi
Commento al brano del Vangelo di: Mt 5,1-12a

Quando ci avviciniamo ad un brano evangelico come quello di oggi, l’atteggiamento che sarebbe bello assumere è l’atteggiamento della contemplazione e del silenzio.

Le 8 beatitudini sono un roseto fiorito che non possiamo rovinare coi nostri commenti e con le nostre esigenze morali, con la nostra mania di volere sapere quello che dobbiamo fare e a chi, queste beatitudini, si riferiscono.

Un roseto sbocciato va contemplato e odorato. Solo così la bellezza entra in noi e diventa parte della nostra esistenza. Nella contemplazione della bellezza e nell’odorare questo profumo il nostro cuore riceve nutrimento e le nostre mani si muovono secondo Dio e i nostri piedi camminano nella verità.

Contemplare e odorare è quello che fa Gesù. Contemplare e odorare non è una fuga dalla vita e dalla realtà, ma è un modo amante e vero di incarnarsi nella realtà, un modo profondamente umano che l’umano continuamente dimentica.

“Gesù vedendo le folle”, così comincia il brano evangelico di oggi. Gesù vede le folle, contempla la realtà e guardando e contemplando la vita, non certo fuggendola, nasce in Lui la bellezza delle beatitudini, questo roseto fiorito che cambia la vita e il nostro modo di avvicinarci alla vita.

Vedendo le folle: le beatitudini nascono dal rapporto profondo che Gesù aveva con la realtà cruda della gente. Quella stessa gente che Gesù non dimentica, ma conduce sul monte.

Gesù guarda le folle e con loro sale sul monte. È uno degli atti di misericordia più belli che ritroviamo nel vangelo: Gesù che vede le folle e le conduce in alto. Gesù sale sul monte e porta con sé la realtà, le folle, l’umanità ferita.

Portando le folle sul monte Gesù illumina come sole che sorge dall’alto la realtà, non la nega e neppure la ottimizza, semplicemente la illumina sul monte e illuminandola la beatifica.

La realtà è essenziale alle beatitudini. Senza la carenza, senza i poveri, che ci sono e non hanno bisogno di essere inventati, senza i contrasti nei quali i miti possono sorgere, senza la sofferenza dei sofferenti, senza le ingiustizie che rendono i giusti veramente affamati e assetati di ingiustizia, in altri termini senza la vita e la realtà di vita così come si presenta a noi, il vangelo delle beatitudini non ha senso.

Le beatitudini scattano quando l’uomo che osserva la realtà, che vede le folle, che si lascia toccare dalle miserie, si mette in cammino e suda per salire verso l’alto portando dentro di sé la realtà, cioè la vita, portandola in alto con sé.

Senza tale salire e tale tensione la povertà rimane penuria, la sofferenza solo dolore, l’ingiustizia una semplice sconfitta che ci fa gridare dal dolore e dallo scandalo, la guerra solo violenza.

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Salendo sul monte la realtà, che non dimentichiamo e che portiamo in noi, può diventare beatitudine.

Ma manca ancora un gesto: “e messosi a sedere”. La realtà cruda di tutti i giorni ha bisogno di essere seduta. La realtà cruda in noi crea rabbia e ribrezzo, bisogno di vendetta e senso di sconfitta. Tante volte a partire da questi sentimenti noi parliamo, noi predichiamo, noi pontifichiamo, noi iniziamo delle guerre. A partire da questi sentimenti non trascesi, men che meno seduti, noi sminuiamo le beatitudini e le rendiamo nulle.

Sedersi su di un sasso della montagna scalata con nel cuore la folla che abbiamo visto e che continuiamo a vedere portandola con noi, noi cominciamo a rendere beata la vita e la storia. Noi compiamo un atto di fede che è l’atto di fede dei santi. La santità che non è privilegio di pochi, ma di tutti. La santità che non è roba da superuomini, questa roba la lasciamo ai film americani.

La santità che è essere amici di Dio perché da Lui chiamati e benedetti, ci spinge a sederci per non perderci in chiacchiere futili che diventano troppo facilmente dicerie, rabbia, protesta, violenza, maldicenza.

Sedersi e portare con sé il destino del mondo significa lasciare che la storia pulluli nel nostro cuore con tutte le sue contraddizioni e ingiustizie, povertà e violenze. Lasciare che la realtà pulluli in noi saliti sul monte, significa non dimenticarla ma aprire il nostro cuore all’incontro tra la pianura e la montagna, tra la realtà e la idealità, tra la folla e la vita. Da questo incontro nascono le beatitudini che noi, seduti sul monte, possiamo odorare come roseto fiorito.

E più lo odoriamo e più scopriamo la bellezza della vita che alberga nel profondo del cuore della folla che ci sembra, in apparenza, solo un insieme di cose che non vanno e di speranze oramai spezzate e disperate. Più odoriamo e contempliamo e più scopriamo la via della libertà dalla schiavitù delle nostre incongruenze e delle nostre chiusure.

Così la sofferenza e la gioia, la negatività e la positività, il peccato e la grazia, diventano una cosa sola, beatitudine appunto.

Forse questo mettersi a sedere è il passaggio di cui la chiesa ha più bisogno al giorno d’oggi, ma con lei anche la nostra società. Siamo sempre tropo tentati di salire sul monte e cominciare a parlare per dimenticare la realtà e per esorcizzarla e per inventarci formule magiche per uscire dalle nostre crisi.

Oggi vediamo, saliamo e contempliamo e la beatitudine della realtà sboccerà in noi come roseto fiorito.

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