Gesù, tornato a Gerusalemme, si aggira per il tempio con i suoi discepoli. In questo luogo, appena viene individuato, cominciano le dispute con i farisei e i sacerdoti e gli erodiani. Sono dispute forti che provocano da subito la ricerca, da parte dei suoi detrattori, di un modo per farlo perire. Il primo passo è quello di coglierlo in fallo su qualcosa di importante. Dopo essere stati sbugiardati sull’eredità della salvezza da parte degli ebrei, oggi, farisei ed erodiani, vengono presi in fallo sui tributi da pagare a Cesare. È una cosa che bisogna fare, ma è anche una cosa che scandalizza perché significa riconoscere il dominio dello straniero sul popolo eletto e sulla terra promessa. Riconoscere tale dominio significa non riconoscere la promessa di Jaweh squalificando la sua parola.
La prima risposta di Gesù che squalifica farisei ed erodiani, è una risposta sottile, non detta, ma obbligata, che non si riesce a cogliere se non siamo più che attenti a quanto avviene. Dicevamo che siamo nel tempio. Uno dei precetti importanti della legge è non farsi immagine di Jaweh e non idolatrare. Figuriamoci se l’immagine di un dio da idolatrare poi la si porta nel tempio.
La prima risposta di Gesù è quella di dimostrare che farisei ed erodiani sono idolatri. A loro chiede di volere vedere un denaro con cui si pagavano le tasse. Lo chiede a loro perché lui non ce l’ha. Lo chiede a loro e li obbliga ad evidenziare il fatto che loro ce l’hanno. Ma Gesù non si ferma qui. A loro fa fare la loro professione idolatra. Chiede di chi è l’immagine che si staglia sulla moneta. Di Cesare, dicono loro. Loro che portano il soldo del tiranno invasore; loro che riconoscono l’immagine dello straniero che si spaccia per un dio; loro che non solo portano l’immagine di Cesare nel tempio ma sono costretti da Gesù a pronunciarne il nome.
La prima risposta di Gesù è dunque un evidenziare il loro essere idolatri e trasgressori della Legge, quella data da Jaweh, non la legge dell’invasore straniero. Invasore della terra promessa e invasore della fede che chiede idolatria all’immagine dell’imperatore.
Il secondo movimento porta i farisei alla confusione e al mutismo: non sanno cosa rispondere a Gesù. Non è questione di astuzia di Gesù, questa. È piuttosto questione di luminosità. Gesù Luce che viene nel mondo non viene accolto dai suoi, ci ricorda san Giovanni nel prologo del suo vangelo, e non accogliendolo si rendono incapaci di essere figli di Dio.
Ciò che blocca la luce e dunque la comprensione, è la mentalità farisaica che anche noi ci portiamo dietro. È grazie a questa mentalità che noi non capiamo Gesù e rimaniamo muti. Il fariseo è proprio colui che meno di tutti può comprendere Gesù. Infatti tutto meno una cosa è chiara alla mentalità farisaica: ciò che non è codificato e regolarizzato da una legge. Ci vuole una legge chiara sulla restituzione. Come faccio a comprendere cosa mi rimane dopo che ho restituito a Dio quello che è di Dio? Che conti debbo fare? Cosa ci rimane da restituire agli uomini? Forse niente perché tutto non è di Dio? Ma anche questo non basta.
Quando Gesù dice che è venuto per i peccatori e non per i giusti, per i malati e non per i sani: cosa dice alla nostra mentalità farisaica? Noi cominciamo a fare congetture sulla giustizia, sul fatto che poi i cattivi se ne approfittano, che insomma bisogna fare bene i conti, e via discorrendo. La nostra mentalità farisaica va semplicemente in tilt chiudendosi alla Luce Gesù troppo luminosa. In tal modo ci rendiamo incapaci di accogliere quella Luce che ci renderebbe figli di Dio.
Non riusciamo a capire la semplicità della posizione di Gesù, sapiente secondo la croce, perché la nostra fede farisaica, fatta col bilancino, non ce lo permette. Cosa ci dice Gesù, con quell’affermazione, se non che tutti siamo peccatori e che quindi Lui è venuto per tutti. Tutti siamo peccatori ma non tutti lo ammettono per questo, grazie alla loro mentalità farisaica, si chiudono al dono della grazia, cioè della vita di Dio e della sua luce. E non capiamo!
In verità agli uomini dovremmo restituire molte cose, ma questo noi lo faremo con gratuità solo quando avremo capito che tutto va restituito a Dio, perché tutto da Lui riceviamo. E noi sappiamo che il Padre nostro che è nei cieli non vuole nulla da noi se non il nostro cuore, un cuore che riconosca il nostro essere figli e dunque fratelli. Solo così possiamo comprendere che la restituzione a Dio è restituzione ai fratelli.
Questi sono i frutti della vigna, frutti che se restituiti in toto a Dio, ci rendono capaci di donare ogni cosa al prossimo con giustizia e amore, anche se non si chiama Cesare.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM