I pastori non portano doni al Figlio di Dio, vanno a vedere. I pastori non portano ricchezze, raccontano ciò che del bambino era stato detto loro. I pastori non offrono chissà che al Messia, glorificano e lodano Dio per tutto quello che hanno visto e udito.
I pastori si avvicinano al Verbo incarnato in un modo particolare. Non si avvicinano innanzitutto alla Parola per vedere che cosa devono fare, ma vanno a vedere la Parola. Guardano, stanno in contemplazione, verificano se quello che era stato detto loro dagli angeli corrisponde al vero. Guardano la Parola.
Dopo avere guardato: raccontano la Parola. Raccontano quello che era stato detto loro dagli angeli. Raccontano quello che hanno visto e contemplato. Diventano testimoni senza volerlo di quello che di bello e di vero avevano udito e visto.
- Pubblicità -
Risuona qui l’inizio della prima lettera di Giovanni:
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”.
Il vedere, l’udire, il contemplare, l’annunziare ciò che è stato visto, udito e contemplato, crea comunione. Per questo diventa testimonianza.
L’intuizione dei pastori ha provocato in loro niente di razionale, ha provocato in loro un mettersi in cammino: loro andarono senza indugio dai tre della famiglia. Il cammino è un vedere con occhi, è udire con gli orecchi del cuore, è un gustare la contemplazione che non chiede di capire quanto invece di accogliere. Il cammino non chiede una maggiore razionalizzazione quanto invece un lasciare emergere ciò che è stato visto. Comunicare in semplicità quanto ci ha toccato per un bimbo in una mangiatoia crea comunione, apre alla comunicazione senza pretese, diventa testimonianza cioè un cantare ciò che ci ha toccato nel corpo e nel cuore.
I pastori vivono un cammino che è concretezza di fede: semplicemente vanno a vederlo e a toccarlo con mano.
Questo è cammino di fede semplicemente perché quando l’uomo esce dalle sue sicurezze mette in atto le sue convinzioni di cuore. Sudare la propria fede è testimoniare che la fede è vera.
Cosa dobbiamo fare di fronte a questo Vangelo? Di fronte a questa Parola? Dobbiamo contemplare per potere diventare a nostra volta testimoni, fautori di comunione.
Anche Maria e Giuseppe, con i pastori, contemplavano serbando tutte queste cose meditandole nel loro cuore. Contemplare e meditare. Tutto quello che ascoltiamo non sempre è subito comprensibile. Molte volte richiede la necessità di deporlo nello scrigno sicuro del nostro cuore, di continuare a meditarlo, di confrontarlo con la vita, di capirlo un poco alla volta, di misurarlo sulla nostra esperienza, c’è bisogno che noi cresciamo poco alla volta per poterlo comprendere. Qualsiasi arte la si apprende un po’ alla volta e ci si appassiona col tempo, e la si approfondisce con l’esperienza, e la si matura passo dopo passo.
Questo atteggiamento di Maria e di Giuseppe è un atteggiamento che porta alla sapienza del cuore, che permette di trovare una relazione vera con la vita. Non importano le sicurezze più o meno mentali, quanto invece una relazione vitale con la vita, così come è!
Maria generò il principe della pace. Continuamente in questo periodo natalizio si parla della pace e del dono della pace e della invocazione per la pace.
Oggi primo gennaio, è la giornata per la pace. Maria ha educato suo figlio alla pace. Col primo latte le madri danno anche la prima educazione ai propri figli. Sappiamo che i primi insegnamenti dati dalla madre non vengono mai dimenticati dai propri figli perché trasmessi con delicatezza, con amore, con baci, con carezze con parole dolci.
Mentre celebriamo Maria madre di Dio, quest’oggi, celebriamo Maria educatrice alla pace, Gesù il principe della pace, la chiamata di ognuno di noi alla pace.
Papa Giovanni XXIII scriveva l’enciclica Pacem in Terris richiamando al bene comune universale se si vuole costruire la pace.
L’attenzione che tutti noi dobbiamo porre, se vogliamo la pace, non è un’attenzione solo al nostro bene, non è un’attenzione solo al bene della nostra famiglia, non è un’attenzione al bene comune della nostra gente, ma è un’attenzione al bene comune universale. Dobbiamo batterci perché sia globalizzato il bene comune.
Accogliamo l’invito che il vangelo di fa di imparare a contemplarlo per potere scoprire i segreti della vita, per poterli gustare, per poterli testimoniare, per poterli fare fruttare nella pace che è frutto della attenzione al bene comune universale.
“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Maria fa questo col bambino sul suo seno che è grande cuore. Maria meditava con Dio sul suo corpo, come Giuseppe meditava col cuore che batteva per amore. Per Maria il Vangelo era forza corporea: conosceva col corpo non con la superficialità della mente. Ancor più con lei vive questa realtà, contro ogni riscontro sociale, Giuseppe che viveva semplicemente per amore portando Maria e Gesù in salvo in Egitto, portando Gesù a fare il falegname con lui.
L’invito, in questa festa della pace mentre iniziamo il nuovo anno è uno: che i nostri pensieri possano prendere corpo. Coscienti del fatto che l’uomo quando il pensiero nella sua mente prende carne, diventa il suo corpo semplicemente invaso da stupore. Stupore vero non perché tutto vada bene quanto perché tutto è vita. Lo stupore è vitale, la morte dello stesso è mortale.
Accogliamo il nuovo anno: che il nostro cuore possa accogliere il nuovo anno senza pregiudizi e senza false attese ma semplicemente con un cuore di speranza alla Vita.
AUTORE: p. Giovanni Nicoli
FONTE
SITO WEB | CANALE YOUTUBE | FACEBOOK | INSTAGRAM