E l’Avvento ricomincia! Ricomincia col vangelo di Luca. Ricomincia con l’essenziale all’attesa del ritorno del Signore. Questo dato del ritorno è difficile perché la nostra fede è fragile, e perché è difficile per noi vivere “nell’attesa della sua venuta!”.
Gesù parla di segni terribili nella storia. Sono cose già accadute che ai nostri giorni si moltiplicano per ragioni umane, come le guerre o le catastrofi.
Gesù dice che “gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”.
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La paura è qualcosa di particolarmente potente. La paura fa nascere una rappresentazione falsa della realtà e chi ha paura si immagina il futuro come un mostro pronto ad inghiottirci.
Gesù non intende invitarci a lasciarci prendere dal desiderio di vivere appieno la nostra vita. Lui vuole esorcizzare la nostra paura immersa in una vera e propria volontà di potenza. Esorcizzare quello che continuamente noi esprimiamo, magari in modo nascosto, come il ritenere che la vita è mia e me la godo finché posso e come voglio.
Se perdiamo la speranza nel futuro allora esiste solo il presente: il mio presente. Presente che quando diviene insopportabile sentiamo che è meglio la morte. Così la soppressione volontaria di una vita, visto come ultimo ostacolo, viene aggirato in nome di un individualismo che regna sovrano.
La paura, è inutile negarla, crea vere e proprie rappresentazioni parallele della realtà che sono, in fondo, nuove narrazioni della storia. A ben guardare oggi troppe persone vivono senza chiedersi se quello che vivono è davvero autentico e vero. È vero: i fatti in cui ci troviamo immersi sono davvero come li immaginiamo?
La paura del futuro tradisce la storia che viviamo e che abbiamo vissuto, o che altri hanno vissuto.
Gesù insiste dicendo: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano”.
Il cuore è la sede della ragione, della volontà, della coscienza. State attenti che la paura non vi tolga la capacità di ragionare e di guardarvi a fondo con onestà, all’interno della vostra coscienza.
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Ma il cuore si appesantisce, così ci corazziamo contro gli imprevisti. Diventiamo cinici e, alla fine, schiavi di noi stessi.
Di conseguenza iniziamo a preoccuparci troppo per la salute, il successo, i soldi. La nostra immagine e il nostro io diventano troppo ingombranti per lasciare posto agli altri.
Di fronte a questi atteggiamenti Gesù invita ad assumere uno sguardo di speranza. “quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
Alzate il capo! Non si tratta di un facile ottimismo né di un moto di orgoglio: si tratta di speranza. In Gesù, in quello che testimonia e vive, il motivo della speranza è in realtà Gesù stesso.
Lui parla di sé come del Figlio dell’uomo che, come dice il profeta Daniele, viene sulle nubi del cielo.
Possiamo cogliere come fondamento della nostra speranza sia la fiducia in quel Dio che con Gesù è presente nella storia umana, chiedendo di saperlo vedere presente proprio nei momenti più bui.
L’Avvento si apre con un invito a rileggere la storia del nostro tempo alla luce di questa venuta di Dio nella storia. Questo è il senso del Natale verso cui oggi iniziamo a camminare!
Questo è il compito lasciato ai cristiani: su la testa, perché il Signore continua ad amare il mondo; su la testa, perché esistono sempre motivi per sperare.
Ma come facciamo a coglierli? Non è cosa facile, ma l’invito del Signore è chiaro: “Vegliate in ogni momento pregando”, dice Gesù. E ancora: non fatevi schiacciare dagli eventi negativi della storia, ma viveteli alla presenza di Dio.
L’invito a pregare non è un invito a ripetere formule pensando di essere esauditi: è l’atteggiamento profondo di chi coltiva un rapporto personale con il Signore. Se siamo in relazione con Lui, se preghiamo con costanza, ci permette di trovare segni di speranza anche nei momenti più difficili.
Si tratta poi di vegliare: Gesù ha in mente cristiani con gli occhi aperti, che non vivono, come spesso ci accade, del tutto ignari di quel che accade nella realtà intorno a noi oppure impauriti di fronte alle scelte che la storia ci chiederebbe di fare nella vita quotidiana, nella società, nella politica.
Siamo per questo invitati alla vigilanza, al vegliare, che si fonda sulla capacità di riconoscere quali sono i momenti importanti della nostra vita, le realtà che davvero contano.
Tutto questo è, in fondo, un ritornare a dare alle cose il loro giusto valore capaci ancora di rinunciare a quel che non è importante, che non è buono.
Vegliare, vigilare, significa sentirsi responsabili dell’altro e del mondo in cui si vive. È capire, in altre parole, che non c’è nulla di definitivo nella vita, se non Dio stesso.
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