Lo spazio della relazione
Quando vogliamo bene a una persona, per mostrarle la nostra disponibilità, siamo soliti usare espressioni del tipo: «la mia porta per te è sempre aperta!». Stiamo dicendo che la nostra vita, il nostro tempo, ciò che abbiamo, è a disposizione dell’altro. In altre parole stiamo immaginando la nostra vita come uno spazio, nel quale diamo all’altro la possibilità di entrare. Così si costruiscono le relazioni: possiamo incontrare l’altro sulla soglia o possiamo farlo aspettare nell’ingresso o possiamo farlo entrare e accomodare. Dipende ovviamente dalla fiducia, che purtroppo non sempre è ben riposta: alcuni a volte entrano e non rispettano i nostri spazi.
L’utilità delle porte
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È bene sempre ricordarci che la nostra vita, come ogni casa, ha una porta: decidiamo noi se aprirla o meno. Certo, a volte si rischia di passare tutta la vita da soli, perché, per qualche ragione, abbiamo deciso di blindare la nostra porta e di non aprire a nessuno. Di solito però è comunque utile vigilare sull’ingresso. In fondo siamo noi i guardiani di noi stessi! Chi ci vuole bene, bussa e chiede il permesso, ma a volte ci ritroviamo gente nella nostra vita, a cui non abbiamo mai dato il permesso di entrare: sono ladri e briganti, gente che vuole rubarci la vita o che ne vuole approfittare.
Il recinto
Proprio perché questa è la dinamica della nostra vita, possiamo comprendere meglio perché Gesù parli di un recinto, uno spazio chiaro, definito da confini, in cui le pecore possono sentirsi al sicuro. Gesù ci invita a entrare in questa relazione con lui, in cui possiamo sentirci protetti e amati.
Questo recinto, immagine della relazione con lui, ha una porta, dalla quale si può sempre entrare e uscire, perché Gesù non ci costringe mai né a entrare nella relazione con lui né tanto meno a uscirne. Gesù è il pastore che entra con delicatezza e senza inganno nel recinto della nostra vita. E ci invita a fare attenzione a coloro che, a differenza sua, cercano di entrare nel recinto con l’inganno: sono i poteri seduttivi del mondo, che ci persuadono attraverso l’illusione di eventuali gratificazioni, ma che, al contrario, ci portano nella bocca dei lupi.
Riconoscere la voce
Ogni relazione si consolida nella misura in cui si costruisce una familiarità. Riconoscere la voce dell’altro significa proprio questo: imparo a riconoscere la tua voce quando ti frequento, sto con te, desidero ritrovarti. Gesù è il pastore di cui noi, sue pecore, impariamo piano piano a riconoscere la voce, perché abbiamo trascorso del tempo con lui. Più staremo insieme con lui, più né riconosceremo facilmente la voce. E questo diventa vitale quando abbiamo bisogno di riconoscerlo tra voci diverse e ingannevoli. È fondamentale distinguere la sua voce, quando, all’arrivo dei lupi, abbiamo bisogno di capire in che direzione scappare.
Estranei
Quando ci si vuole bene, ci si chiama per nome, ci si assegna persino nomi che altri non conoscono o che non userebbero nei nostri confronti. Il nome sta al posto della persona. Gesù ci chiama per nome, perché con ciascuno di noi ha una relazione intima e profonda. Mi chiama per nome perché mi conosce meglio di ogni altro. Quando mi sento chiamato e amato così, avverto anche la fiducia e la gioia di seguire colui che mi chiama. A volte non siamo capaci di riconoscere la voce di Gesù e non lo seguiamo perché, forse, è diventato, o è sempre stato, per noi un estraneo. Anche nelle relazioni tra noi, quando finisce l’amore o quando non c’è più la fiducia, si diventa estranei, non ci si riconosce più. Ma questo, purtroppo, può avvenire anche nella relazione con Gesù.
Essere porta
La relazione con Gesù ha però una peculiarità che la contraddistingue da ogni altra relazione: egli non solo entra nel nostro recinto o ci custodisce nel nostro ovile, ma lui, e solo lui, è anche la porta, perché solo attraverso di lui possiamo entrare nella vita piena. Solo attraverso la relazione con lui, la nostra vita può trovare il suo senso più profondo e compiuto. Tante altre relazioni potranno accompagnare piacevolmente la nostra esistenza, ma solo la relazione con Cristo ci permetterà di trovare la pienezza.
Vocazione
In questa domenica si celebra anche la giornata di preghiera per le vocazioni. La nostra vocazione fondamentale è l’invito di Gesù a vivere questa relazione con lui. Ciascuno poi risponde a suo modo a questo invito. Ascoltando Pietro, come abbiamo letto negli Atti degli Apostoli, la gente si chiede: «cosa dobbiamo fare?» (At 2,37). Ecco, questa è la domanda da cui parte ogni cammino di vita, in qualunque stato ci troviamo. Cosa desidero fare per stare nella relazione con Gesù, come ci voglio stare?
Se non ci poniamo questa domanda, allora avremo ascoltato questa omelia, come qualunque altra, solo come una forma di estetica della parola, forse ne avremmo apprezzato tutt’al più alcuni aspetti, ma se la parola non ci ha provocato e non ci ha spinto a chiederci cosa dobbiamo fare, l’omelia non avrà raggiunto il suo scopo.
Leggersi dentro
- Sono capace di vigilare sulle mie relazioni: la porta della mia vita è blindata o indiscriminatamente spalancata?
- In che modo ho scelto o sto scegliendo di stare nella relazione con Gesù?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte