Il rischio dell’abitudine
L’abitudine può diventare a volte un meccanismo di difesa, ci permette infatti di non chiederci più il senso di quello che stiamo facendo. L’abitudine è una sorta di pilota automatico che ci permette un risparmio energetico, perché non dobbiamo più fare scelte davanti alle novità. Benché abbia i suoi vantaggi, l’abitudine molte volte spegne la vita. ci si ritrova a tirare avanti senza aver vissuto fino in fondo, soprattutto senza aver buttato fuori l’energia e la forza che ci portavamo dentro.
La parola di Gesù all’inizio del Vangelo di Marco continua ad avere questo potere scomodante, che a volte vediamo come disturbo, ma che in realtà è la via della pienezza. Me ne accorgo anche durante gli esercizi spirituali: le persone, persino i preti, evitano di fare silenzio, non interrompono l’ordinarietà della vita, non si lasciano mettere in crisi, per evitare in realtà di trovarsi davanti alla necessità di cambiare qualcosa. E così tutto continua allo stesso modo, in una triste monotonia.
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Schermati
Questa premessa può essere particolarmente utile per comprendere il Vangelo di questa domenica, che in un certo senso ci presenta una persona schermata, una persona cioè che non vuole essere toccata e si tiene a distanza pur partecipando esteriormente alla preghiera. Si tratta di un uomo che probabilmente ogni sabato si recava nella sinagoga, cioè nel luogo in cui viene proclamata la Parola, eppure né lui né gli altri si erano mai accorti che era abitato da uno spirito impuro. Quest’uomo è proprio l’immagine del credente routinario, che ormai vive per abitudine un’esperienza che non gli dice più niente. La Parola di Dio infatti ci parla sempre, ma siamo noi che molte volte ci congeliamo per non sentire quello che il Signore vuole dirci. Quando nella preghiera non avvertiamo nessun movimento interiore davanti alla Parola di Dio, può essere utile farci una domanda: che cos’è che non voglio sentire?
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A volte per esempio, anche nella comunicazione umana, ci chiudiamo per evitare di essere feriti. Quando ci sentiamo delusi o deboli, tendiamo a mettere una distanza. Abbiamo paura di essere colpiti, temiamo che ogni parola ci possa fare male. Soprattutto se abbiamo vissuto un’esperienza dolorosa, preferiamo non sentire più niente, piuttosto che correre il rischio di essere nuovamente colpiti.
Senza essere toccati
Paradossalmente lo spirito cattivo che abita quest’uomo è uno spirito impuro che però impedisce che quest’uomo sia toccato. In genere noi tendiamo a mettere in relazione l’impurità con il contatto, al contrario a volte l’impurità si esprime invece proprio nell’isolamento, nel rifiuto di una relazione che può metterci in crisi. Lo spirito impuro, rivolgendosi a Gesù, dice infatti precisamente: «sei venuto a colpirci?». È come se questo spirito impuro fosse lo spirito del quieto vivere, di chi vuole stare lì a sentire o a vedere senza essere coinvolto.
Lasciarsi ferire
A volte evitiamo che la Parola di Dio ci parli perché intuiamo che metterebbe in crisi la nostra vita: lo spirito impuro infatti non vuole essere toccato perché sa chi è Gesù. Anche qui paradossalmente più conosciamo il Signore più siamo tentati di tenercene a distanza, perché intuiamo che cosa potrebbe provocare nella nostra vita e cosa potrebbe chiederci. Non è questa conoscenza teorica che ci salva: molti hanno imparato tante cose su Dio, ma ciò non vuol dire che lo abbiano incontrato.
L’incontro con la Parola di Dio infatti può non essere indolore: l’uomo della sinagoga per essere liberato dallo spirito impuro deve passare attraverso il dolore. Come ha scritto Papa Francesco nella Evangelii gaudium, riferendosi ai predicatori, essi devono essere i primi a lasciarsi ferire «dalla viva ed efficace Parola di Dio, affinché questa penetri nei cuori dei loro uditori» (EG 150). Capiamo così anche cosa voglia dire Marco affermando che Gesù insegnava in maniera diversa dagli scribi, cioè con autorità: Gesù è il primo che si coinvolge nella parola che egli stesso annuncia!
Una parola da vivere
La Parola di Dio – ed è significativo che questo testo del Vangelo ci venga proposto la domenica successiva a quella della Parola – non è semplicemente da osservare con ammirazione, ma è una parola da vivere. Molte volte i fedeli apprezzano le omelie sulla base di un piacere meramente estetico, ma lo scopo della predicazione non può essere l’abilità retorica, sebbene anche quella possa essere a servizio della conversione che è il vero scopo dell’annuncio.
Si racconta che un giorno un grande predicatore della cattedrale di Notre Dame, incuriosito dalla fama di San Giovanni Maria Vianney, si fosse recato nel piccolo villaggio di Ars. San Giovanni, imbarazzato per la visita di quell’illustre predicatore, disse timidamente: «mi hanno detto che quando lei predica a Notre Dame la gente per ascoltarla sale persino sui confessionali!». Ma l’illustre predicatore, avendo ormai compreso chi aveva davanti, rispose: «sì, ma quando predica lei vedo che la gente nei confessionali ci entra!». Il famoso predicatore di Notre Dame sapeva bene infatti che il vero scopo della predicazione è la conversione del cuore, non l’apprezzamento estetico dell’eloquio.
È evidente allora che la Parola di Dio di questa domenica ci sta chiedendo quanto personalmente ci lasciamo toccare da essa, quanto siamo disposti a metterci in discussione e quanto siamo aperti alla conversione. Può darsi infatti che anche noi abbiamo trovato qualche strategia per non essere disturbati nel nostro quieto vivere.
Leggersi dentro
- Ti lasci mettere in crisi dalla Parola di Dio?
- In quali aspetti della tua vita il Signore ti sta chiamando alla conversione?
Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte