Il re pastore
Che fine fa una pecora che non riesce a stare nel gregge? Riuscirà a tornare all’ovile? Sarà divorata dai lupi? Chissà se il pastore se ne sarà accorto: magari era distratto dalla sua fame o dalla premura di tornare all’ovile. E quando se ne sarà accorto, non è detto che abbia voglia di andare a riprenderla. Chissà come mai quella pecora è rimasta indietro, chissà se qualcuno se lo sarà domandato: forse era malata, forse ha semplicemente sbagliato strada, forse ha indugiato troppo sull’erba fresca. Quante pecore si perdono oggi nel gregge dell’umanità, ma siamo proprio sicuri di non avere nessuna responsabilità? Per fortuna, il Signore stesso si impegna a cercarle in prima persona, perché lui è il modello del pastore, quel modello che, ahimè, oggi non è molto frequentato: «Ecco, io stesso cercherò le mie pecore» (Ez 34,11). Oggi abbiamo invece tanti piccoli re che non sanno essere pastori!
Re della propria vita
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Alla fine, è vero, saremo giudicati sull’amore, ma questa fine non è solo cronologica, non è solo la fine dei tempi. È piuttosto come dire alla fin fine, quello che conta, è il modo in cui abbiamo amato. Si tratta proprio di essere re della propria vita. Oggi molti di quelli che pensano di essere re della propria vita, in realtà ne sono schiavi: la loro immagine, la loro presunta realizzazione umana, la loro ambizione, la manipolazione delle relazioni ne fanno dei perdenti. Il vero re non ha l’ossessione per la propria vita, è talmente potente che è libero dalla preoccupazione per la sua stessa vita, per questo può accorgersi degli altri.
Arrivati alla fine
Quest’ultima domenica dell’anno liturgico ci porta proprio alla fine. E il tempo della fine è sempre un tempo di rilettura. L’anno liturgico è trascorso infatti attraverso un cammino in ascolto della Parola di Dio. Sarebbe opportuno chiederci: cosa mi è rimasto? Cosa ho imparato? In che modo il cammino di quest’anno ha cambiato qualcosa in me? Forse ci renderemmo conto che ancora una volta abbiamo camminato ripiegati su di noi, senza ascoltare veramente quello che ci veniva detto.
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Amore ordinario
In quest’ultima domenica siamo messi davanti a un’immagine dell’amore, forse per dire che quello che conta è il modo in cui viviamo l’ordinarietà della vita. L’amore non è l’impegno straordinario, ma lo stile della vita. Quando Caravaggio dipinge le opere di misericordia, descritte in questo passo del Vangelo di Matteo, lo fa in modo geniale: in un’unica scena riesce a mettere insieme tutti i gesti descritti da Gesù. Anzi, ne aggiunge persino uno in più: seppellire i morti, un’opera di misericordia che la Chiesa aveva assunto nella sua tradizione, ma soprattutto è quell’opera di misericordia che era particolarmente necessaria nella Napoli del Seicento, colpita dalla peste. L’amore infatti è prima di tutto questo: aprire gli occhi per accorgersi di quello che serve oggi intorno a me, a partire da chi mi sta accanto. A volte ci perdiamo in costruzioni ideali e fantastiche dell’amore, proprio per non guardare a quello che ci viene chiesto là dove siamo.
Uno stile di vita
Con la sua rappresentazione, Caravaggio ci porta inoltre in un vicolo qualunque di Napoli. Siamo proprio dentro l’ordinarietà della vita. Si tratta cioè di vivere quello che c’è, senza costruire pacchetti preconfezionati. Coloro che nella parabola evangelica si sono presi cura degli altri, non si sono neanche accorti di averlo fatto: era normale, era uno stile! L’amore vero non ha bisogno di essere ripreso o pubblicizzato, noi invece abbiamo trasformato persino le iniziative per la giornata dei poveri in occasioni di visibilità! In quel caso abbiamo veramente vissuto un’opera di misericordia?
Dov’è Dio?
A volte ci chiediamo dove sia Dio, come incontrarlo, ci immergiamo in profonde dispute teologiche. Questa domenica, Gesù ci dice con molta semplicità dove trovarlo: è nel volto del più piccolo. Non occorre andare molto lontano. Dio è talmente grande da riuscire a stare nella piccolezza! Questo è il vero re. E ci insegna il modo in cui dobbiamo capire il potere, problema sì di ogni tempo, ma particolarmente di oggi. Il potere infatti si è adattato ai tempi: si è costruito una facciata esterna accettabile e socialmente ammessa, ma dietro si è attrezzato di manipolazione, falsità e cattiveria per ottenere il proprio interesse e per assicurarsi la sopravvivenza. Il potere di Gesù invece è quello dell’impotenza: il potere del vero re è la capacità di non avere potere, è il potere di chi non ha paura e non si deve difendere.
Leggersi dentro
- L’amore è il tuo stile di vita o un’occasione di visibilità?
- Sei capace di accorgerti di quello di cui c’è bisogno intorno a te?
Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte