Amabili
La vita fiorisce quando ci sentiamo amati, quando ci rendiamo conto di non essere soli. Al contrario, ci spegniamo quando ci illudiamo di bastare a noi stessi, quando ci chiudiamo nell’indifferenza o nella convinzione di poter fare tutto da soli. D’altra parte è proprio la paura di non essere adeguati che ci porta a volte a non credere in questa possibilità di essere amati. Ci convinciamo che essere imperfetti voglia dire non essere amabili. Restiamo sorpresi perciò quando l’amore entra nella nostra inadeguatezza. Sappiamo bene invece che proprio la pretesa del narcisista di bastare a se stesso gli impedisce di fare l’esperienza dell’amore.
Imperfetti
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Il Vangelo che la liturgia ci consegna in questa celebrazione dell’amore trinitario di Dio può essere riletto proprio come il racconto di questa amabile imperfezione in cui entra la vita di Dio. I discepoli sono rimandati alla loro imperfezione, sono undici, qualcosa non ha funzionato.
Quel numero ricorda il tradimento e la fuga. I discepoli hanno fatto l’esperienza della loro fragilità, ma proprio per questo c’è uno spazio, si è aperto un varco affinché la misericordia possa entrare. E forse anche per questo il monte che Gesù aveva loro indicato si trova in Galilea, che non è solo il luogo da cui tutto è cominciato, ma è un luogo che sa di mancanza, non è il luogo della religiosità osservante, non è il luogo della vita politica, non è un luogo di sapienza.
In cammino
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Il cammino che ci porta a crescere nell’amore non è né immediato, né semplice, ma è fatto di errori e di cadute. I discepoli infatti vedono il Signore, cioè continuano a fare esperienza di lui, anzi addirittura si prostrano, come in una liturgia, eppure nel loro cuore continuano a dubitare. È un’immagine di quella ipocrisia che spesso accompagna la vita del credente: esteriormente facciamo tutto quello che si deve fare, ma non è detto che nel cuore ci siano convinzioni e sentimenti coerenti con quello che manifestiamo all’esterno.
Annunciare
Eppure è proprio questa comunità che è chiamata ad annunciare. È a questi discepoli che Gesù affida il compito di portare l’amore. Sono inviati infatti a battezzare, cioè a fare discepoli, ad annunciare l’amore della trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. L’amore che sono chiamati a predicare è allora prima di tutto comunione. Non è l’amore di un Dio che è semplicemente uno, cioè chiuso nel suo isolamento. Non è il Dio di Aristotele che muove l’universo, pensando sempre e solo a se stesso. Questo sarebbe l’amore malato dell’uno, l’amore autoreferenziale del narcisista.
L’amore che i discepoli sono chiamati ad annunciare non ha però neanche la caratteristica della dualità, perché anche una relazione, se si ferma al due, rischia di rimanere chiusa, si esaurisce nel rimando reciproco, come quelle coppie che passano la vita chiedendosi l’un l’altro: ma tu mi ami? Anche questo amore rischia di non essere mai generativo.
Amore trinitario
L’amore di Dio è invece un amore eccedente, è l’amore che si dona: l’amore tra il Padre e il Figlio è un amore che eccede e si dona nello Spirito che abita ogni creatura. L’amore trinitario è allora il modello di ogni amore vero e pieno. Dio vuole abitare in noi per renderci capaci di amare allo stesso modo dopo averne fatto esperienza.
Dio vuole essere con noi tutti i giorni: è l’Emmanuele. Il Vangelo di Matteo si conclude con un grande abbraccio, perché anche l’inizio del racconto era stato segnato da questo nome: Gesù era stato annunciato proprio come l’Emmanuele, il Dio con noi. Tutte le nostre vicende, tutte le nostre ferite, tutte le nostre speranze, stanno dentro questo grande abbraccio che è l’amore di Dio, siamo tutti accolti nel grembo della Trinità.
Leggersi dentro
- Ti senti amabile?
- Qual è il tuo modo di amare?
Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte