p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 26 Dicembre 2021

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Le recite finiscono

Una delle cose tradizionali e simpatiche del Natale sono le recite dei bambini. Sono momenti di grande tenerezza. Non solo per i bambini, ma anche per i genitori, che guardano i propri figli con un candore ingenuo, come se per un momento i loro figli fossero diventati le star del momento. Però anche le recite dei bambini finiscono, e, loro malgrado, tornano a essere i bambini di sempre, i bambini normali che fanno i capricci, che non obbediscono, che si stufano di ascoltare i rimproveri dei genitori.

Desiderio di autonomia

Dentro il Vangelo di questa domenica, oltre certamente al più profondo significato teologico, c’è anche questo: l’inquietudine di due genitori che si devono confrontare con le domande impreviste e il comportamento indecifrabile del proprio figlio all’inizio dell’adolescenza.

Gesù ha dodici anni, dice il testo, ancora non ha raggiunto la maggiore età, che nel mondo ebraico viene celebrata l’anno dopo. Ma Gesù appare come un ragazzino che comincia a desiderare la propria autonomia e a cercare la propria strada.

Radici e ali

Ogni genitore ha inevitabilmente la tentazione di considerare il proprio figlio come sua proprietà: il diritto romano lo aveva persino sancito giuridicamente, il pater familias, dopo la nascita del bambino, lo sollevava da terra e con quel gesto lo riconosceva come suo figlio, ma nello stesso tempo affermava su di lui il diritto di vita e di morte.

La vita però ci svela che i figli non ci appartengono, sono un dono gratuito, sfuggono al nostro controllo, non possiamo mai arrivare a scolpirli esattamente come vorremmo. Sono destinati a lasciarci. I genitori sono chiamati a offrire loro radici, a cui poter sempre ritornare, ma al contempo i genitori sono chiamati a dare loro anche ali, affinché possano intraprendere il loro volo.

Il racconto di Anna che porta al Tempio il figlio Samuele è esattamente il riconoscimento di questo dono, la consapevolezza che i figli appartengono a Colui che li ha donati.

Il viaggio

Dietro la normalità di un episodio di vita familiare, che oggi ci viene raccontato dal Vangelo, dentro un momento di ordinaria incomprensione tra genitori e figli, c’è un senso teologico ancora più profondo.

Innanzitutto perché Gesù compie insieme ai propri genitori un viaggio verso Gerusalemme, anticipando in qualche modo quel viaggio che proprio nel Vangelo di Luca è il centro del racconto: alla fine del capitolo nove, Gesù deciderà consapevolmente di andare a Gerusalemme per dare la sua vita per noi.

E a Gerusalemme, il ragazzino Gesù resterà per tre giorni, dice il testo, proprio come per tre giorni resterà nel cuore della terra, nel sepolcro a Gerusalemme, senza che nessuno possa trovarlo.

Cercare Dio

Maria cerca il bambino Gesù, come le donne cercheranno Gesù al sepolcro: sia Maria all’inizio della vita di Gesù, che le donne alla fine del Vangelo, sono il simbolo di ogni credente chiamato a cercare il Signore, nonostante la fatica e a volte l’incapacità di trovarlo. Dio infatti si fa trovare. Maria e Giuseppe cercano Gesù nella carovana e le donne lo cercheranno al sepolcro, a volte infatti cerchiamo Dio dove non c’è, lo cerchiamo nei luoghi scontati, dove sarebbe ovvio cercarlo. Dio invece ci sorprende. È là dove non penseremmo di trovarlo. Non è né nella carovana né nel sepolcro. Dio è altrove.

La sapienza dell’obbedienza

Maria e Giuseppe trovano Gesù in mezzo ai sapienti nel Tempio. È un’immagine che rievoca la figura biblica della Sapienza. Ciò che deve attrarre la nostra attenzione è che, nonostante questa sapienza, nonostante Gesù sia la Sapienza, la sua risposta è l’obbedienza: «Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Anzi, diremmo che l’obbedienza è il modo in cui Gesù esprime la sua sapienza.

Alleanza educativa

Maria non è solo figura del credente che cerca, ma, insieme a Giuseppe, condivide la fatica e l’inquietudine di ogni genitore davanti ai comportamenti indecifrabili, e a volte irritanti, dei figli. Maria si rivolge a Gesù non con un rimprovero, ma con una domanda: chiede di capire, prima di giudicare. Non affronta Gesù da sola, ma coinvolge Giuseppe in un’alleanza educativa: tuo padre e io ti cercavamo (cf Lc 2,48). A volte, i comportamenti difficili dei figli rischiano di spezzare la relazione tra i genitori, indebolendo il loro intervento educativo. Giuseppe rimane in silenzio. Lascia parlare Maria. Forse per un accordo previo tra loro o perché è consapevole che in quel momento per lui è meglio tacere.

Padre

La risposta di Gesù è difficile da comprendere per i suoi genitori, ma, attraverso questa risposta, il Vangelo ci dice che la prima parola pubblica di Gesù nel Vangelo di Luca è “Padre” (cf Lc 2,49). Ci colpisce perché sarà anche la sua ultima parola. Tutta la vita di Gesù è ricompresa dall’inizio alla fine dentro la sua relazione con il Padre.

Vita ordinaria

Anche in questa incomprensione, che spesso caratterizza la vita del genitore, Maria e Giuseppe continuano a stare accanto al figlio nella quotidianità della vita, pur sapendo che ci sarà un giorno in cui dovranno farsi da parte per lasciare che le folle affaticate e senza guida prendano il loro posto. Come Maria ha generato Gesù nella sua nascita, così, successivamente, sarà la Parola che lo genererà alla vita adulta.

Ora che le recite di Natale sono finite, possiamo tornare a confrontarci con la quotidianità della vita, a volte faticosa, certo, ma più vera. Non a caso, il tempo della quotidianità per Gesù con i suoi genitori è il tempo di Nazareth, un tempo su cui scende il silenzio, forse perché le cose quotidiane e importanti della vita non hanno bisogno di diventare sempre uno spettacolo.

Leggersi dentro

  • Qual è il mio contributo alla pace in famiglia o in comunità?
  • Nella relazione con Dio sono un figlio capriccioso o obbediente?

per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
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