La scuola dell’obbligo
C’è una scuola dell’obbligo che tutti siamo chiamati a frequentare, si chiama “sofferenza”. È la scuola dove impariamo a vivere e dove veniamo fuori per quello che siamo. Il cuore del Vangelo rispecchia in modo particolare le dinamiche umane che emergono quando siamo chiamati a stare nel dolore, nella delusione e nel fallimento, nell’ingiustizia e nell’impotenza. Possiamo percorrere il racconto della Passione fermandoci sui personaggi che esprimono un certo modo di stare nella scuola della sofferenza per provare a comprendere qualcosa in più di noi. È da questa comprensione che può nascere il nostro cammino di conversione verso la Pasqua.
L’amore si spreca, non si vende
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Colei che ha capito prima di tutti gli altri il significato della sofferenza è una donna che irrompe improvvisamente nella casa di Simone. È una donna audace che non si lascia bloccare dal giudizio e dalle consuetudini. È una donna silenziosa, non dice nulla, ma fa un gesto nel quale dimostra di aver compreso quello che sta per accadere: spacca un vasetto prezioso, di alabastro, e versa una quantità eccessiva di profumo, trecento denari, circa un anno di lavoro! È un gesto con il quale imita e anticipa quello che Gesù sta per fare sulla croce, ci spiega che amare vuol dire sprecare, come quel profumo che non è più recuperabile e che è versato in eccesso, senza farsi i conti, come quel vasetto che poteva essere conservato e che lei invece spacca, come il costato di Cristo sarà ferito in modo irreversibile. Nell’amore non si torna indietro, ciò che è dato non può essere ripreso.
Coloro che osservano questa scena, sono alunni impreparati, che non hanno ancora capito la lezione del maestro. Per loro quel gesto è semplicemente uno spreco, qualcosa che si poteva evitare. Quel profumo poteva essere venduto, come il loro amore, quell’amore su cui fanno commercio, quell’amore che vivono come merce di scambio, magari facendo apparentemente del bene, ma in fondo usando l’amore solo per guadagnarci.
L’impazienza
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Tra gli alunni di questa scuola c’è qualcuno che crede di saperne più del maestro: Giuda non capisce perché il maestro di questa scuola sia così lento a procedere con il programma, perché non spiega subito come deve finire la storia. Giuda è il discepolo stanco di aspettare i tempi di Dio, preferisce risolvere la questione cercando strategie umane e rapide. Ma, come sempre, quando vogliamo anticipare i tempi di Dio, finiamo con il costruire strade di morte. C’è un clima di stanchezza generale nella scuola di Gesù, tant’è vero che quando il maestro annuncia che qualcuno di loro lo tradirà, i discepoli non si meravigliano e non si scandalizzano, ma confessano apertamente che potrebbe essere uno di loro: “sono forse io?”.
Sopravvalutarsi
In ogni scuola c’è sempre quello che pensa di essere migliore degli altri, incapace di valutare le sue reali capacità. È il caso di Pietro, che ostenta in maniera spavalda la sua capacità di stare accanto al maestro in ogni circostanza, anche nelle lezioni più difficili. Sarà la vita a rivelare a Pietro chi è veramente: si addormenta, insieme a Giacomo e Giovanni, nell’orto degli Ulivi, quando la lezione comincia a diventare pesante. Fugge e abbandona il maestro quando la scuola è presa d’assalto da coloro che non condividono la logica di quell’insegnamento. Pietro non mostra segni di resistenza. Come sempre, proprio chi è più spavaldo, taglia più facilmente la corda.
Gli alunni più bravi sono invece sempre quelli più defilati, quelli che non si mettono in mostra e si vergognano di apparire. In questa scuola della sofferenza c’è un fanciullo anonimo che fugge via nudo, lasciando il lenzuolo di cui era coperto. Occorre ricordarsi di questo fanciullo quando alla fine ritroveremo di nuovo un lenzuolo, quello in cui il maestro, ormai morto, sarà avvolto. Forse quel fanciullo ha imitato e anticipato la fine: la vita non può essere trattenuta e il maestro lascerà il lenzuolo nel sepolcro, proprio come ha fatto lui.
Interrogazioni
Pietro nel frattempo deve affrontare le interrogazioni. Pensa di nascondersi e di evitare le domande, ma casualmente si ritrova vicino al fuoco. E il fuoco non solo riscalda, ma illumina anche. Il fuoco lo rivela e lo fa venire fuori per quello che è: discepolo traditore, discepolo che si è perso, discepolo che deve riconoscere di non essere così bravo come pensava. Pietro deve lasciarsi andare al pianto, perché le lacrime lavano gli occhi e ci consentono di vedere le cose in modo nuovo. Pietro vedrà meglio e soprattutto vedrà meglio se stesso.
Invidia
In ogni scuola, i maestri bravi sono anche invidiati. Il maestro bravo mette in crisi il collega che fa più fatica a insegnare ed è magari meno amato dai suoi alunni. Il Sommo sacerdote è il maestro invidioso che non vuole mettere in discussione il suo metodo di insegnamento. Si è sempre fatto così e vuole continuare ad andare avanti a oltranza, senza riflettere o preoccuparsi della possibilità di cambiare o migliorare il suo insegnamento. Si straccia le vesti, si adira, è indignato. E come sempre si ricorre alla menzogna, alle false accuse, ai testimoni ipocriti, per togliere di mezzo l’avversario. È una strategia che conosciamo perché è molto comune.
Disonesta omertà
Davanti alle diatribe, ai contrasti e alle discussioni c’è sempre chi preferisce non prendere una posizione netta. Spesso è un modo tipico anche all’interno della Chiesa: lasciar vincere sempre il più potente e scaricare la colpa del conflitto sul più debole, su chi non conta niente. Benché le cose siano chiare, e tutti lo sanno, non lo si può dire, perché si vuole evitare di infastidire il più potente.
Pilato è il giudice incapace di dire la verità. È il narcisista che vuole difendere la sua posizione e preferisce evitare che la sua immagine sia compromessa. Ciò che conta è quello che si pensa di lui, il resto può anche essere cancellato, mistificato, coperto. Pilato è colui che preferisce il consenso alla coscienza: pur di essere approvato, applaudito e promosso nega la verità dei fatti. Pilato è ancora prepotentemente tra noi! Ed è proprio Pilato che alla fine, nella confusione che ha creato, permette che da questa situazione tragga vantaggio chi non lo merita: sanno tutti che Barabba è un delinquente, ma alla fine, pur di non riconoscere la verità, preferiscono salvare lui. È così che i delinquenti avanzano e i miti vengono sacrificati.
Esami imprevisti
C’è anche chi in questa scuola della sofferenza non vorrebbe proprio metterci piede, ma non è possibile, anche se non vuoi, la vita ti costringe a entrarci. Simone di Cirene si ritrova all’improvviso messo alla prova, come quando ti capita un’interrogazione che proprio non ti aspettavi, un esame che non avevi programmato. La sofferenza arriva all’improvviso e ti trova impreparato.
Forse solo alla fine di quel percorso, Simone potrà rileggere la sua esperienza e accorgersi che forse c’era un senso in quella prova inattesa. E così anche noi impariamo che non c’è mai una sofferenza che sia inutile, ma sono sempre piccoli frammenti di quel disegno di salvezza che Dio porta a compimento.
Imparare senza volerlo
A volte capita di imparare anche quando sei distratto e stai pensando ad altro. Stranamente qualcosa ti incuriosisce e ti attrae. Anche in questa scuola della sofferenza c’è un centurione che si trova lì solo per fare il suo dovere, ma all’improvviso la sua vita è sconvolta da un evento che lo sorprende: quell’uomo che soffre gli dice qualcosa con la sua morte. Lo spinge a cercare, a mettersi in cammino. Suscita in lui un desiderio profondo di saperne di più.
Osservare con attenzione
Forse quello che possiamo fare per imparare è osservare, senza pretese, senza essere spavaldi. Le donne alla fine del racconto della passione fanno proprio così, hanno compreso il senso della teoria (da theorein), guardare contemplando per cercare di cogliere il senso. Le donne osservano mentre Gesù è deposto dalla croce, osservano mentre è messo nel sepolcro. Prima di giungere a conclusioni sommarie, è meglio fermarsi e cercare di capire.
Ciò che va fatto
C’è però anche chi si fa avanti, perché in qualche modo le cose vanno affrontate, occorre anche essere audaci, venire allo scoperto e prendersi delle responsabilità. Ci sono situazioni davanti alle quali non si può aspettare. Giuseppe di Arimatea va a chiedere il corpo di Gesù. Il suo modo di vivere la sofferenza sa di dovere. E a volte è il dovere che ci salva. In quel momento si deve fare così. A Giuseppe d’Arimatea vorremmo però chiedere di non seppellire anche la speranza, mentre fa rotolare la pietra che chiude il sepolcro di Gesù.
Leggersi dentro
- Dove sono io in questo racconto della passione? Qual è il mio modo di affrontare la sofferenza?
- Qual è il cammino di conversione che sono chiamato a intraprendere?
Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte